Destinazione borghi d’Italia, il nuovo turismo sostenibile

In Italia esistono 5.500 borghi sotto i 5 mila abitanti, distribuiti in maniera omogenea in tutto il Paese. Queste nuove destinazioni rappresentano il 60% del territorio nazionale e vi vive solo il 17% della popolazione. L’Italia è storicamente la patria dei borghi e in ognuno di questi è presente un patrimonio storico di interesse turistico. La sfida è comprendere che vale la pena deviare dai grandi itinerari e organizzare una visita per godere delle bellezze nascoste. I fondi stanziati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza per il rilancio del turismo ammontano a 1,2 miliardi di euro; stanno nascendo nuove opportunità per trasformare il settore in una filiera più sostenibile che mette fine alla massificazione.


La “nuova normalità” post pandemia ha ridisegnato le rotte turistiche facendo leva sulla bellezza da riscoprire di un’Italia ancora sconosciuta, lontana dagli itinerari e dai grandi centri sovraffollati. È il momento dei borghi d’Italia, dei ritmi lenti della campagna, del buon cibo e delle tradizioni. In una parola: è l’ora di un turismo più sostenibile.
Il calo dell’attività turistica durante il picco del Covid ha inciso per oltre un quarto sulla capacità dell’Italia di produrre valore.
Dai dati Istat si ha evidenza di una drastica caduta della spesa per il turismo nel 2020, anno in cui i pernottamenti dei turisti stranieri in Italia sono diminuiti del 54,6%, e quelli dei residenti nazionali del 32,2%. In un anno si è registrato un calo di oltre 63 miliardi di euro per il consumo turistico interno.

 


Il mercato del turismo estero nel 2020 ha subito  una forte flessione che ha generato duri contraccolpi soprattutto nel nord del Paese e nelle principali città d’arte (Firenze, Roma, Venezia). Situazione diversa al sud, dove il turismo straniero si ritaglia da sempre una quota minoritaria, con il 16% dei pernottamenti. 
Il fattore destabilizzante al sud è stata la quasi totale mancanza di prenotazioni durante i periodi fuori stagione (da aprile a giugno, da settembre a novembre), fondamentali per consolidare l’ossatura del settore nelle regioni meridionali e insulari.
Il mercato nazionale invece ha retto il colpo beneficiando dello stop forzato ai viaggi all’estero imposto dalle misure di restrizione. Gli italiani hanno saputo valorizzare il turismo dei borghi, quello lento degli agriturismi e delle grandi aree verdi, ovvero mete che per loro natura rispondono in pieno alle esigenze di “nuova normalità” imposte dall’emergenza sanitaria.
Il turista sostenibile dell’era Covid ha evitato i luoghi super affollati come le città d’arte e i centri costieri più rinomati privilegiando le località dell’entroterra, alla scoperta di un’Italia nascosta: quella degli itinerari, dei sentieri, del patrimonio agroalimentare.
Un’altra formula vincente è stata la scelta del “turismo di prossimità”, attraverso la prassi diffusa del week end “mordi e fuggi” verso destinazioni a massimo 150 km dal luogo di residenza o le gite giornaliere fuori porta. Queste esperienze hanno portato alla riscoperta e valorizzazione delle realtà localizzate nelle aree interne, da sempre all’ombra dei grandi centri urbani.


Il modello slow e le nuove destinazioni

Il Covid ha se non altro spinto a riflettere sul fenomeno del turismo di massa che negli ultimi anni ha costretto gli abitanti delle città d’arte in Italia a convivere con situazioni al limite dell’accettabile da quando molte destinazioni hanno sperimentato i danni causati dal sovraffollamento e dalla massificazione. Turismo non può e non deve essere sinonimo di inquinamento, rumore a tutte le ore, aumento spropositato dei prezzi e del costo della vita, degrado ambientale, movida, ricerca del lusso e del comfort a tutti i costi e perdita di identità e tradizioni. Un fenomeno esploso in tutta Europa e degenerato negli ultimi anni in aree critiche, come quella di Barcellona in Spagna, per esempio, dove il turismo è diventato sinonimo di spreco di territorio, utilizzo improprio delle risorse e conflitto con i residenti locali per le gravi ripercussioni nei prezzi medi degli affitti.

Nell’era post Covid si è però diffusa una nuova consapevolezza per non tornare al vecchio modello di turismo non sostenibile. Icone di questo cambio di passo Venezia, che ha negato l’ormeggio in centro alle gigantesche navi da crociera, e altre città d’arte che hanno messo allo studio modelli per evitare il congestionamento turistico. «Una sfida che si può vincere frammentando e deviando i grandi flussi verso i piccoli borghi e le aree interne – spiega Michelangelo Lurgi, presidente di Rete Destinazione Sud – evitando il sovraffollamento delle destinazioni classiche. Una formula che si rivelerebbe vincente non solo per decongestionare le grandi città ma soprattutto per promuovere lo sviluppo sostenibile dei piccoli borghi grazie a una ricetta che genera ricchezza per il territorio evitando lo spopolamento dell’entroterra. Questo si chiama turismo sostenibile». 
Anche il modello di approccio al tema è primario: non a caso quest’anno Rete Destinazione Sud ha vinto il premio “Ambassador della sostenibilità” per il modello di sviluppo territoriale che ha creato in Italia. 

Cosa è stato fatto? È stato disegnato un campione che aggregasse le diverse aree di interesse turistico per distribuire in modo uniforme l’offerta, garantendo una governance partecipativa di tutto il territorio. Per ottenere il risultato sperato è stato necessario il coinvolgimento di tutti i veri protagonisti del turismo sostenibile, come agricoltori, commercianti, sindaci, con l’obiettivo di creare nuove destinazioni, nuovi posti da scoprire e integrare nell’offerta anche i periodi di bassa stagione. 
Per destinazioni si intendono aggregazioni territoriali vaste, capaci di attrarre non solo sotto il profilo turistico, ma per tutto quanto sono capaci di proporre e che possa rappresentare un fattore di attrazione, partendo dalla gastronomia per arrivare ai prodotti d’artigianato di eccellenza.
«L’idea vincente di questo modello sostenibile non è delegare lo sviluppo del turismo solo nelle mani delle amministrazioni locali ma mettere al centro delle iniziative la popolazione locale» afferma Lurgi. 

 

 

 

Nel 2023 il turismo di ritorno

Il 2023 è stato scelto come “Anno del Turismo di Ritorno”, un grande progetto che ha l’obiettivo di attirare i connazionali residenti all’estero (quasi 6 milioni quelli iscritti all’Aire) e gli oriundi di seconda, terza e quarta generazione. Coloro cioè nati e cresciuti in un’altra nazione, che discendono da genitori o antenati là trasferitisi dal paese italiano d’origine. Il loro numero, nel mondo, è ragguardevole. Si stima che gli oriundi italiani siano, complessivamente, tra i 60 e gli 80 milioni. 
L’iniziativa nasce da un’idea del Gruppo Turismo Nazionale della CIM (Confederazione italiani nel mondo) che ha deciso di puntare sul grande potenziale offerto dai connazionali nel mondo per promuoverli “ambasciatori” dell’Italia nei Paesi in cui risiedono. L’idea è che i connazionali all’estero riscoprano l’Italia attraverso l’offerta culturale, gastronomica e dei prodotti tipici locali, vivendo esperienze e tradizioni di quei borghi da cui partirono i loro avi per cercare fortuna altrove. Al progetto, che si stima possa attirare in Italia qualcosa come 15 milioni di visitatori, prenderanno parte come minimo 500 comuni che metteranno a disposizione i loro centri per organizzare convegni, workshop e missioni estere con l’obiettivo di intercettare opportunità di business per gli imprenditori locali. 

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