Il Pnrr oggi, le paure della transizione

Le imprese sono centrali per la messa a terra del Piano nazionale di ripresa e resilienza, per questo è fondamentale che comprendano le modalità attraverso cui verranno coinvolte all’interno del piano di attuazione. A fronte dei grandi investimenti in gioco del Recovery and Resilience Facility esistono però alcune criticità a livello sistemico per affrontare la transizione verde e digitale, tra queste a destare preoccupazione lo shock della domanda e la nascita di nuove competenze per fronteggiare il cambiamento ecologico e digitale. Intanto l’Italia ha già incassato un prefinanziamento da 25 miliardi di euro.



Quali sono le opportunità del Recovery and Resilience Facility, il piano per la ripresa e la resilienza europea che mette a disposizione 723,8 miliardi di euro in prestiti (385,8 miliardi di euro) e sovvenzioni (338 miliardi di euro) a sostegno delle riforme e degli investimenti intrapresi dagli Stati membri? Quali invece gli impatti che attualmente sta avendo il piano di ripresa italiano?

Prima di esaminare la situazione più nel dettaglio ricordiamo che l’obiettivo di Bruxelles è mitigare l’impatto economico e sociale della pandemia e rendere le economie e le società europee più sostenibili, resilienti e meglio preparate alle sfide e alle opportunità della transizione verde e digitale.
Con questa gigantesca manovra finanziaria per la prima volta si assiste a un accentramento della politica fiscale a livello europeo che determina un cambio sostanziale nelle strategie economiche nazionali e apre, in caso di successo, una convergenza permanente su Bruxelles delle politiche fiscali di tutti gli Stati membri.
Il Pnnr elaborato dal governo italiano promette di cambiare lo stato attuale delle cose facendo leva su 3 assi: una nuova convergenza  all’interno dell’Unione europea, che rappresenta un traguardo importante dal momento che il reddito pro capite italiano risulta inferiore a quello della media dei 27 Stati membri; il superamento degli squilibri macroeconomici, come il rapporto debito pubblico / Pil (156,3%); il riequilibrio nel rapporto investimenti e risparmi.

La più grande sfida europea che l’Italia ha deciso di cogliere è quella della transizione verde e digitale scommettendo coraggiosamente su una forte crescita sul breve e sul lungo periodo come conseguenza della realizzazione del piano. Quali sono però le condizioni necessarie affinché questa scommessa abbia successo?
Il Pnrr sembra aver puntato da una parte a rompere definitivamente le catene della stagnazione economica che piega l’Italia dalla metà degli anni '90 affidando il cambiamento agli investimenti della spesa pubblica, dall’altra a trasformare questa nuova crescita in sviluppo sostenibile nel breve e lungo periodo.

 


Lo shock dell’offerta: dal capitale alle risorse umane

Le risorse del Recovery and Resilience Facility (che rappresentano il 90% della torta del Next Generation Eu) sono state destinate al 60% alla transizione ecologica e digitale degli Stati membri. Questa duplice transizione ha un impatto dal lato dell’offerta significativo: «È quello che noi economisti definiamo shock di offerta» spiega Marcello Messori, ordinario di economia alla Luiss Guido Carli di Roma. Ciò sta a significare che lo stock di capitale circolante subirà una obsolescenza accelerata, determinando una sostituzione di capitale fisso molto più rilevante rispetto alle condizioni normali. Il capitale fisso si riferisce al capitale investito nell’acquisizione di immobilizzazioni per le imprese, all’investimento dell’impresa in attività a lungo termine, il capitale circolante rappresenta la quantità di denaro utilizzata per il finanziamento delle operazioni commerciali quotidiane.

«Normalmente gli shock di offerta hanno effetti negativi e squilibranti sul processo economico. – avverte Marcello Messori – Se la transizione avrà successo, il punto di arrivo porterà beneficio al sistema, non fosse altro perché renderà necessario un aumento degli investimenti che andranno a colmare quel gap con i risparmi che caratterizza l’intera area euro».
Anche la globalizzazione, assieme alla creazione delle svariate “value chains” disseminate geograficamente e la rivoluzione tecnologica portata dall’Economia delle Piattaforme digitali hanno costituito nel recente passato altrettanti shock da offerta, tutti positivi. 

Vi sarà anche un’esigenza di adattamento della formazione, delle competenze e dei requisiti professionali del personale delle imprese, che verrà a creare una divergenza tra composizione della domanda di lavoro e dell’offerta. Non si può eludere questo problema scaricando le colpe sull’Unione europea per aver fissato obiettivi troppo sfidanti per la transizione, piuttosto bisogna riconoscere il ritardo in termini di innovazione digitale che l’Europa si trova a scontare nei confronti di Stati Uniti e Cina. Il recupero delle competenze in ambito digitale sarà necessario per abilitare processi innovativi volti a ridurre l'impatto ambientale.
La scommessa di riuscire a crescere nel breve periodo collocando le imprese italiane su un sentiero di sviluppo sostenibile nel lungo periodo deve fare i conti con questo scenario.


Prima le riforme, poi gli investimenti verdi

Il Pnrr ha in sé delle peculiarità che lo rendono del tutto specifico rispetto ai piani di ripresa di altri Paesi. In prima istanza occorre ricordare che l’Italia è lo Stato membro dell’Unione europea che in valore assoluto ha ottenuto il maggior ammontare di risorse da Bruxelles accaparrandosi il 28,5% dei finanziamenti messi sul piatto dal Recovery and Resilience Facility europeo. Diversamente da altri Paesi l’Italia ha deciso di utilizzare tutte le componenti di questo finanziamento, ripartito in 70 miliardi di euro di benefici e 123 miliardi di prestiti. A questo è stato aggiunto un fondo nazionale da 30 miliardi ad integrazione di queste risorse.

Il Pnrr si differenzia inoltre dal piano di ripresa di altri Paesi perché prevede in una prima fase di favorire le riforme e in un seconda concentrarsi sugli investimenti pubblici. 
Una delle condizioni necessarie per fare in modo che il piano nazionale abbia successo è, secondo l’analisi del professor Messori, che non venga meno l’attuale politica monetaria espansiva europea in modo da rendere sostenibile un debito pubblico rispetto al Pil molto elevato. Nello scenario italiano si auspica invece che questo coordinamento tra riforme e investimenti si traduca in un’efficiente attuazione dell’uso di risorse messe a disposizione dal Recovery and Resilience Facility. 
Obiettivo raggiungibile solo tenendo sotto controllo una serie di variabili problematiche che rischiano di infrangere ogni attesa. Il primo elemento di instabilità sono proprio le riforme, come ricorda Messori, riforme che non vanno solo disegnate e approvate ma anche attuate. In questo contesto le allocazioni delle risorse alle istituzioni locali dovranno essere davvero utilizzate per organizzare la perfetta esecuzione del piano di ripresa e resilienza. 

Un altro elemento preoccupante è l’incapacità di fronteggiare la richiesta di formazione del personale necessario per affrontare la transizione ecologica e digitale. Lo shock di offerta avrà gravi impatti su una situazione lavorativa già fragile, aggravata dalle dinamiche demografiche e dal flusso di uscita all’estero delle migliori risorse in fuga.
Arginare queste tendenze preoccupanti sarà necessario per la buona attuazione del piano attraverso una buona governance capace di ricucire lo strappo tra il centro decisionale e le periferie operative per un monitoraggio costante dei singoli progetti.


Dal Patto di stabilità al “patto di sostenibilità” 

Sulla solidità del Pnrr nazionale si gioca la partita ecologica, digitale e politica dei prossimi anni. Una prima dimensione su cui si gioca questa partita è quella del Patto di stabilità che, se necessario, deve essere posto a revisione per “non commettere gli errori del passato”, come già detto in più occasioni dal commissario Gentiloni. Lo scorso 19 ottobre la Commissione europea ha predisposto un’agenda per ritoccare le regole del Patto di stabilità a cui sono sottoposti i Paesi aderenti all’euro. I due tratti essenziali sono il contenimento del deficit al di sotto del 3% del Prodotto interno lordo e del debito (la somma dei deficit accumulati anno dopo anno) entro il 60% del Pil.

L’Italia, che con il suo 156,3% è ben al di sopra di questa soglia, dovrà impegnarsi in un percorso di riduzione. Il Patto è al momento sospeso ma dovrebbe tornare pienamente in vigore dal 2023. 
La seconda dimensione è quella della doppia transizione: ecologica (dove sono  allocate il 40% delle risorse) e digitale (a cui è destinato il 27%). La combinazione tra la riforma del Patto di stabilità e i processi della duplice transizione dovrebbe portare con un po’ di fortuna ad alimentare nel tempo la crescita sostenibile del Paese.









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