Ecosistemi marini da proteggere

I nostri mari rappresentano una ricchezza inestimabile che dobbiamo preservare. La protezione degli ecosistemi costieri e delle aree marine è fondamentale per la conservazione della biodiversità, sempre più minacciata dallo sfruttamento sconsiderato delle risorse, dall’inquinamento, dai cambiamenti climatici e dalle specie aliene, che invadono habitat inusuali. Le attività umane non sostenibili stanno rubando sempre maggiori spazi alla natura, causando un deterioramento di vaste aree del pianeta e una catastrofica riduzione della fauna selvatica. Perciò è urgente ripristinare gli ecosistemi marini danneggiati o in pericolo e ampliare le zone protette, dove la biodiversità può prosperare.

 

Uno sguardo al passato

L’Italia, con i suoi circa 8 mila chilometri di coste, aveva già compreso l’importanza della tutela dei mari varando nel 1982 la legge 979 Disposizioni per la difesa del mare, grazie alla quale ha intrapreso «un percorso all’avanguardia che è stato un esempio anche per altri paesi europei. Con quella legge l’Italia si dotò di quattro formidabili strumenti per la tutela del mare» dopo quarant’anni ancora attuali, come ricorda la sottosegretaria al Ministero della transizione ecologica Ilaria Fontana: una rete di osservazione dello stato chimico-fisico-biologico dell’ambiente marino, i cui dati sono raccolti in un database centrale consultabile da tutti, un servizio di pattugliamento delle coste per la prevenzione e il controllo degli inquinanti, una centrale operativa per coordinare gli interventi in caso di incidenti e l’istituzione delle riserve marine.

 

Le aree marine protette

Con l’introduzione del sistema di riserve marine, oggi denominate “aree marine protette”, l’Italia si è impegnata a tutelare le zone che lungo le sue coste rivestono un particolare interesse a livello naturale, geomorfologico, fisico e biochimico, oltre che per flora, fauna e la loro rilevanza scientifica ed ecologica.

La sottosegretaria Fontana ha ricordato che le aree marine protette, oltre ad avere «un ruolo strategico nella protezione dell’ambiente marino sotto un profilo naturalistico, educativo e culturale», rappresentano «un punto di riferimento dello stato dell’ambiente naturale, il termine di confronto irrinunciabile per stimare il grado di alterazione indotto dalle pressioni antropiche sugli ambienti marini, [...] diventando dei laboratori in cui verificare e misurare sul campo i danni prodotti dall’attività dell’uomo e, contemporaneamente, sperimentare misure di contrasto». La tutela di queste aree è dunque fondamentale anche per l’attuale Ministero della transizione ecologica.

Le aree marine protette già istituite sono 31 (di cui due parchi sommersi) – rispetto alle oltre 50 previste dalla normativa nazionale, come fa notare Leonardo Tunesi, biologo marino e dirigente di ricerca Ispra – e tutelano in totale circa 700 chilometri di coste italiane.

Ogni area, opportunamente perimetrata, è suddivisa al suo interno in tre zone, sottoposte a diverso regime di tutela ambientale. La zona A contraddistingue una riserva integrale, cioè l’area di maggior valore ambientale, a cui è conferita la massima protezione: non sono consentiti transito né balneazione ma solamente attività di ricerca scientifica e controllo. Le zone B e C presentano una riduzione delle restrizioni per coniugare la tutela ambientale con attività socio-economiche sostenibili, quali la fruizione degli ambienti protetti e l’uso produttivo delle risorse marine. La zona B delimita una riserva generale, dove sono permesse attività di fruizione con il minor impatto possibile sull’ambiente; talvolta vengono istituite delle sottozone Bs (B speciali), nelle quali è vietata ogni forma di prelievo delle risorse. La zona C costituisce invece una riserva parziale, dove le attività di fruizione e lo sfruttamento sostenibile dell’ambiente marino sono regolamentati per garantire un impatto ridotto.

«Nelle aree marine protette, particolare attenzione è posta alla pesca artigianale, che qui è consentita solo ai pescatori professionisti locali – specifica Tunesi – che possono gestire con maggiore efficacia le loro attività di prelievo potendo pescare nei momenti migliori ed evitando il sovrasfruttamento delle risorse biologiche dovute ad attività di pesca non correttamente gestite, come può accadere fuori dalle aree marine protette dove le attività di prelievo, consentite a tutti coloro i quali dispongono della licenza professionale di pesca, possono portare a situazioni di sovrapesca a causa della eccessiva concorrenza tra pescatori».

 

I siti Natura 2000

Oltre alle aree marine protette nazionali, l’Italia dispone di numerosi siti protetti afferenti alla rete europea Natura 2000 – la maggioranza dei quali si trova in zone costiere e marine – che tutelano gli habitat caratteristici delle regioni biogeografiche d’Europa e specie in pericolo, vulnerabili, rare o endemiche, secondo quanto indicato dalle direttive Habitat e Uccelli, strumenti legislativi fondamentali per preservare il patrimonio naturale dell’Europa.

Nell’ambito della nuova strategia europea sulla biodiversità adottata nel maggio 2020 – uno dei pilastri del Green Deal – l’Unione europea amplierà le aree Natura 2000, che già costituiscono la più grande rete di aree protette del mondo: tra gli obiettivi vincolanti per il 2030 infatti, la strategia sulla biodiversità ha stabilito la protezione del 30% delle superfici marine, di cui almeno il 10% – le zone particolarmente ricche di biodiversità e ad altissimo valore climatico – godrà di una protezione rigorosa. Per il 2030 dunque, i paesi europei dovranno applicare misure di protezione stretta almeno al 10% delle loro superfici marine e altre misure effettive di protezione a un altro 20%.

Area marina protetta Isole dei Ciclopi, vista dalla costa (Sicilia) 

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