Rendicontazione non finanziaria dal 2023

Era il 1950 quando fu siglato il primo accordo franco-tedesco promosso dal francese Robert Schumann in cui si mettevano le basi dell'Europa unita. Allora si trattava di un accordo politico, economico e di solidarietà tra i due paesi ma la proposta istitutiva di fatto una nuova Alta Autorità con decisioni vincolanti per Francia, Germania e per tutti i paesi che avrebbero successivamente aderito al patto, costituendo il primo nucleo di una federazione europea volta al mantenimento della pace. Il suo amico, Jean Monnet, in seguito scriverà: 《Non stiamo formando una coalizione di stati, stiamo unendo le persone》.<

L'Europa della pace si sarebbe costruita unendo le persone e le sue economie. Oggi servono imprese, beni e servizi che rispondano a criteri di un'economia unita ma sostenibile. A questo scopo la Commissione europea ha presentato una nuova direttiva per dare un giro di vite sulla rendicontazione non finanziaria: nuove regole per il report di sostenibilità.

 

Come in un paio d'anni tutto è cambiato

Solo due anni fa il Parlamento europeo decideva di fissare gli obiettivi ambientali per il 2030 all'indomani di una battaglia campale tra i diversi gruppi per alzare il tasso di riduzione delle emissioni dal 37% al 40% in meno rispetto al 1990. A due anni di distanza da quella votazione la proposta di riduzione delle emissioni di CO2 del 55% è passata all'unanimità. Con obiettivi così sfidanti e ambiziosi è necessario coordinare gli interventi di sostenibilità sotto l'aspetto finanziario e quello di governance perché gli investimenti previsti in questo nuovo Green Deal non hanno precedenti nella storia. Motivo che ha spinto i grandi fondi a non concedere più fiducia a imprese che non abbiano implementato policy green. Una fra tutte la rendicontazione non finanziaria, strumento di controllo dell'operato sostenibile delle imprese sotto l'aspetto ambientale, sociale ed economico. Da tempo questa metodologia è ormai parte del conto economico delle grandi corporation di interesse pubblico che hanno fatto del reporting sulla sostenibilità un elemento chiave, insieme con le altre misure del piano per la finanza sostenibile, per imprimere un’accelerazione dei sistemi economici verso una maggiore sostenibilità ambientale e sociale. Lo scorso 21 aprile la Commissione europea ha presentato una nuova proposta di direttiva sul reporting di sostenibilità chiamata Corporate Sustainability Reporting Directive. Analizziamo quali sono le novità di questa direttiva che estende l’obbligo di rendicontazione a partire dal 1° gennaio 2023 per tutte le categorie di impresa, a eccezione delle PMI, per cui entrerà in vigore dal 1° gennaio 2026.

 

La nuova direttiva europea sulla rendicontazione non finanziaria

La direttiva mira a introdurre alcune novità rispetto alla disciplina della rendicontazione non finanziaria introdotta per la prima volta nel 2016.

La dichiarazione non finanziaria deve oggi contenere informazioni su temi rilevanti in materia ambientale, sociale e sulla gestione del personale; deve annoverare politiche di rispetto dei diritti umani e azioni di contrasto alla corruzione con l'obiettivo principale di comprendere l'impatto dell'impresa sul tessuto sociale e ambientale. All'epoca della sua introduzione, molte imprese si proponevano di coniugare un obiettivo minimo di sostenibilità con la salvaguardia di un certo grado di flessibilità operativa. Inserita nel dibattito di allora, questa istanza portò a due approdi: per prima cosa alle imprese venne concessa ampia flessibilità nella scelta delle metodologie di rendicontazione, sdoganando di fatto il principio del comply or explain secondo cui le società che si fossero discostate dal rispettivo codice di rendicontazione avevano la possibilità di "spiegare" - nella stessa relazione sul governo societario - le ragioni per cui avevano compiuto quella scelta.

In secondo luogo le imprese riuscirono a ottenere di circoscrivere l'ambito di applicazione a un novero di soggetti imprenditoriali piuttosto limitato, come gli enti di interesse pubblico a cui appartengono le imprese quotate, le banche, le assicurazioni. L'obbligo di rendicontazione si estendeva a quelle società con più di 500 dipendenti, e che superassero uno dei seguenti limiti dimensionali: uno stato patrimoniale superiore a 20 milioni di euro, ricavi netti di vendite e prestazioni superiori a 40 milioni di euro.

 

L'ambito di applicazione

Dopo più di 6 anni dalla prima elaborazione di questa normativa europea la nuova Corporate Sustainability Reporting Directive punta a introdurre alcune rilevanti novità: da una parte con l'obiettivo di elevare gli standard della normativa europea in termini di uniformità, completezza, trasparenza e comparabilità delle dichiarazioni non finanziarie; dall'altra per integrare la disciplina con il quadro normativo del Green Deal, con cui l’Unione europea si è impegnata a trasformarsi in un’economia moderna, competitiva ed efficiente.

Le novità introdotte fanno riferimento a 5 ambiti: l'estensione del perimetro applicativo, l'ampliamento delle informazioni da includere nel bilancio non finanziario, il livello di sicurezza di queste informazioni, la collocazione delle informazioni non finanziarie e gli standard di rendicontazione.

L’applicazione della Corporate Sustainability Reporting Directive di fatto punta a dimezzare il parametro sul numero minimo di dipendenti portandolo a 250, lasciando inalterato però l'obbligo per quelle società che superino uno dei due criteri finanziari sopra richiamati ed estendendo l'obbligatorietà a tutte le società quotate in mercati regolamentati - comprese le Pmi quotate - ad esclusione delle "micro imprese" quotate. Dunque non più solo banche e assicurazioni, la rendicontazione non finanziaria diventa un impegno comune a tutte le imprese.

Per contenere gli sforzi di adeguamento che dovranno affrontare le Pmi quotate, la direttiva stabilisce che le piccole e medie imprese saranno autorizzate a rendicontare secondo norme più semplici rispetto agli standard che si applicheranno alle grandi imprese. Le Pmi non quotate invece potrebbero scegliere di utilizzare gli standard di rendicontazione semplificati su base del tutto volontaria. 

Cosa deve contenere un report di sostenibilità 

Nella nuova direttiva viene chiarito il principio della "doppia materialità": le organizzazioni dovranno riportare nella rendicontazione non solo le informazioni necessarie a capire come le questioni di sostenibilità incidano sull'attività di impresa, ma anche come l'attività d'impresa impatti sulle variabili di sostenibilità declinate nelle tre componenti: persone, ambiente, governance.

Il nuovo paradigma di rendicontazione non finanziaria proposto dalla Commissione europea dovrà descrivere il modello di business e la strategia aziendale, mettendo in luce l'aspetto di compatibilità con la transizione verde, nonché spiegare quali sono le modalità con cui si tiene conto degli stakeholder.

L'azienda sarà chiamata a rendere pubblici gli obiettivi di sostenibilità fissati e i progressi compiuti, a dichiarare gli impatti negativi correlati all’impresa e alla sua catena del valore, mettendo nero su bianco le azioni poste in essere per prevenire, mitigare o rimediare a queste criticità.

In primo piano sarà riconosciuto il ruolo del Board e del management rispetto all'analisi e gestione dei fattori di rischio delle variabili Environmental - Social - Governance (Esg) e di quegli asset intangibili tra cui il capitale intellettuale, lo sviluppo delle competenze, il capitale relazionale e reputazionale. Contestualmente diventa obbligatorio il riferimento alle metodologie utilizzate per ricavare le informazioni riportate e la revisione da parte di un ente terzo che certifichi la validità del percorso in ambito sostenibile e la conformità agli standard di rendicontazione della normativa europea.

Viene eliminata l'arbitrarietà del principio del comply or explain cosicché saranno esclusivamente le norme a determinare quali informazioni divulgare in relazione a ciascuno dei fattori di sostenibilità (ambiente, sociale, governance).

 

Deve essere digitale e facilmente accessibile

Le imprese dovranno preparare le loro relazioni in formato digitale in conformità al regolamento Esef ed etichettare le informazioni sulla sostenibilità secondo un sistema di categorizzazione che sarà sviluppato insieme agli standard di rendicontazione. Questo procedimento è necessario per includere le informazioni sulla sostenibilità nel "Punto di accesso unico europeo" (European Single Access Point – Esap) in modo da creare un database pubblico accessibile a tutti e incrementare la trasparenza sul mercato e la comparabilità delle informazioni a beneficio di investitori e utenti.

La Commissione dovrebbe adottare una prima serie di norme sugli standard entro il 31 ottobre 2022 e una seconda serie al più tardi entro il 31 ottobre 2023 per informazioni complementari in materia di sostenibilità e specifiche per i settori di attività.

《L'obiettivo di questo percorso di sostenibilità per le imprese è garantire che ciascuna azienda possa rendere disponibili le proprie informazioni non finanziarie in modo trasparente ai propri partner, con l'obiettivo di rendere più agevole e rapido l'accesso alle fonti di finanziamento e contribuendo al processo di transizione verso un'economia più sostenibile》commenta Antonio Matonti, direttore area affari legislativi di Confindustria.

 

Alcuni elementi critici 

Con coraggio e ambizione è stato introdotto nel sistema giuridico italiano la visione di responsabilità di impresa. È interesse delle imprese fornire informazioni sulla  sostenibilità a prescindere dall'obbligo normativo, da una parte perché le organizzazioni del futuro avranno nel loro Dna la sostenibilità, dall'altra perché sono gli stakeholder a chiederlo. Le imprese non dovranno redigere report di sostenibilità solo per rispettare obblighi normativi, ma per offrire informazioni utili al nuovo mercato della transizione verde. 

I dati riportati nella rendicontazione non finanziaria hanno una loro importanza strategica e vanno dunque presi sul serio da qualsiasi società perché assumeranno lo status giuridico di "informazione regolamentata". La scelta di attribuire un valore giuridico ufficiale alle informazioni del report di sostenibilità risponde al trend di convergenza tra il conto economico e le azioni messe in campo dalle imprese per rendere sostenibile il loro impatto a livello ambientale e sociale.

Ovviamente la strada da fare è ancora lunga per eguagliare l'informazione finanziaria, con il suo grado di certezza e precisione, a quello dell'informazione non finanziaria. La proposta della Commissione europea invece considera già alla pari il livello di maturazione e qualificazione tra le due informazioni.

Prima della nuova direttiva europea sulla rendicontazione non finanziaria alle imprese era concesso di scegliere tra i diversi standard sul reporting già esistenti che, nel caso delle imprese italiane, coincideva nella stragrande maggioranza dei casi con quello Gri (Global Reporting Initiative) diffuso a livello mondiale; la novità  introdotta dalla nuova direttiva prevede invece l'imposizione di uno standard unico definito dall'Unione europea. Se fino a oggi era stato adottato per lo più lo standard definito dal Gri, non si intende a quale genere di "Far West" intenda porre freno la nuova normativa, dal momento che i parametri Gri già hanno l'obiettivo di ridurre la diversità di informazione e garantire l'omogeneità e la comparabilità dei report di sostenibilità. L'unica supposizione che è possibile avanzare è che la proposta dello standard unico europeo risponda più a una mossa di carattere politico che vede l'Europa salire in sella su questioni di tipo corporativo stanca dell'egemonia statunitense e cinese.

 

L'ambizione europea di ridurre la complessità 

La scelta di uno standard obbligatorio imposto dalla Comunità europea evoca due questioni su cui riflettere: una di metodo e una di contenuto. Sulla  prima questione  bisognerebbe verificare se per le imprese europee inserite in un contesto globale  lo standard imposto dall'Europa sia lo strumento più adatto a rispondere alle esigenze dei loro stakeholder non vincolati alle regole dell'Unione europea.

In questo scenario si pone anche il problema dell'identificazione dei soggetti deputati a elaborare questo nuovo standard europeo, perché la proposta di direttiva concede un potere assoluto alla Commissione europea con un coinvolgimento limitato di stakeholder e governi.

Oltre a questo profilo critico dal punto di vista metodologico è importante sottolineare un vizio contenutistico riguardante la definizione degli standard. Dalle motivazioni addotte dell'Unione europea emerge che la scelta dei fenomeni rilevanti sarebbe nelle mani dello standard setter, un coordinamento internazionale volto ad armonizzare gli standard di rendicontazione non finanziaria e a connetterli con quelli finanziari. Questo perché secondo la Commissione europea il proliferare di iniziative eterogenee sulla rendicontazione non finanziaria, non coordinate fra loro, genera confusione e aumenta le potenzialità di greenwashing.

A questo punto sarebbe da chiedersi se sia possibile per il regolatore stabilire i parametri tenendo conto della disomogeneità dei settori industriali, delle dimensioni e delle differenze geografiche.

La nuova direttiva europea sulla rendicontazione non finanziaria al momento non ha specificato quali saranno nella pratica questi nuovi standard di riferimento, mette in luce solo queste "scelte di fondo" che presentano elementi di pericolo. In queste scelte di fondo si riflette quell'ambizione della Commissione europea di razionalizzazione forzata del sistema in ottica riduttivista. Se questa visione può contribuire da una parte a coordinare le iniziative di rendicontazione limitando a zero il rischio di greenwashing, dall'altra rischia di ingabbiare fenomeni troppo complessi dentro schemi troppo semplici.

 

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