La trasformazione del carbonio contro il cambio climatico

Per affrontare il cambiamento climatico, il carbonio non è il nostro nemico. Al contrario, dovremmo imparare a considerarlo come l’elemento del cambiamento ecologico. Il carbonio è l’asset costitutivo della vita ed è anche la base per i materiali, le sostanze chimiche e i combustibili che fanno muovere il mondo intero. Quello che serve è imparare a renderlo rinnovabile, costruendo un percorso circolare che inizia dal recupero delle emissioni di anidride carbonica.

 

Nel suo intervento a COP26, in occasione di una tavola rotonda, il premier Mario Draghi ha sottolineato l'importanza di individuare strategie per supportare la transizione ecologica mettendo in campo tutte le azioni possibili per abbattere la CO2. «Nel lungo periodo dobbiamo essere consapevoli che le energie rinnovabili possono avere dei limiti — commenta Draghi in una nota dell’Ansa —. La Commissione europea ci dice che potrebbero non essere sufficienti per raggiungere gli ambiziosi obiettivi che ci siamo prefissati per il 2030 e il 2050. Quindi, dobbiamo iniziare a sviluppare alternative praticabili adesso, perché sarà possibile fruirne in pieno soltanto nel giro di alcuni anni. Nel frattempo, dobbiamo investire in tecnologie innovative per la cattura del carbonio».

Il problema non è il carbonio in sé, è che stiamo usando un carbonio antico per alimentare un mondo moderno, il che porta a uno squilibrio nel surriscaldamento globale. I combustibili fossili sono la fonte di carbonio per quasi tutto ciò che ci circonda, dalla schiuma delle scarpe da corsa, ai cruscotti delle automobili, al carburante per l’aviazione, al detersivo per il bucato. Man mano che il tenore di vita aumenta, il nostro consumo di questi beni non farà che aumentare con la nostra domanda di prodotti petrolchimici, accelerando così il cambiamento climatico. Ma cosa succederebbe se trovassimo un’alternativa su larga scala al carbonio fossile? 

 

 

L’ultima frontiera circolare: la trasformazione della CO2

È qui che entra in gioco la soluzione messa a punto da Twelve, un dispositivo che assorbe la CO2 dall’atmosfera e trasforma le emissioni negli elementi costitutivi di prodotti attualmente realizzati con combustibili fossili. Una soluzione che ristabilisce gli equilibri nell’equazione emissione-riduzione e che abbatte la CO2 utilizzando il carbonio rinnovabile nella realizzazione di prodotti di qualità uguale o superiore a quelli convenzionali ottenuti con elementi petrolchimici. Tale processo di trasformazione del carbonio riduce le emissioni dalle catene di approvvigionamento, chiude il ciclo del carbonio e fornisce un percorso praticabile verso un futuro senza fonti fossili. L'utilizzo di CO2 al posto dei combustibili fossili nelle produzioni industriali potrebbe ridurre di quasi il 10% le emissioni globali di carbonio. 

Questa nuova tecnologia di trasformazione del carbonio si chiama O12: dodici si riferisce all’isotopo Carbon-12, la forma più abbondante di carbonio presente sulla Terra. Si tratta di un reattore elettrochimico che esegue un processo descritto come “fotosintesi industriale”. Tutto ha inizio da un foglio nero lucido che assorbe la CO2 e utilizza catalizzatori per trasformarla in nuovi prodotti, solo con acqua ed elettricità mediante elettrolisi della CO2. Da questo processo si ottiene ossigeno puro come unico sottoprodotto. La soluzione ideata da Twelve assorbe e trasforma la stessa quantità di CO2 che sarebbero in grado di assorbire 37 mila alberi racchiudendola in un modulo delle dimensioni di una valigia. 

I dispositivi di trasformazione del carbonio con tecnologia O12 rientrano nelle catene di approvvigionamento e nei processi di produzione esistenti e si collegano a qualsiasi fonte di emissioni di CO2, consentendo agli emettitori industriali di creare nuovo valore da ciò che oggi viene scartato come rifiuto. Il sistema funziona anche con la cattura diretta dell’aria, trasformando la vecchia CO2 rimossa dall’atmosfera in nuovi prodotti. 

La trasformazione del carbonio è alla base di un nuovo paradigma di business perché sovverte le logiche alla base della produzione petrolchimica attraverso il riutilizzo della CO2 in prodotti che altrimenti sarebbero ottenuti dai derivati del petrolio. 

É una vera e propria “rivoluzione copernicana”: procurare la base costituente dei prodotti di uso quotidiano dall'aria e non dal petrolio significa che è possibile eliminare le emissioni nella produzione dei beni di largo consumo, rendendo ogni prodotto neutrale dal punto di vista climatico. 

Ogni azienda avrebbe bisogno di una strategia di trasformazione del carbonio così da abbattere in maniera drastica le emissioni e scavalcare concettualmente i sistemi di cattura e stoccaggio (CCS) e di utilizzo (CCU), entrambe leve importanti nella lotta al cambiamento climatico ma di certo non le più entusiasmanti. La trasformazione del carbonio invece fornisce una soluzione duratura eliminando la necessità di utilizzare il carbonio fossile nell’elaborazione di prodotti chimici, materiali e combustibili.

 

Cattura e utilizzo del carbonio, sì ma per creare combustibili sintetici

La CCS (carbon capture and storage) prevede lo stoccaggio o la mineralizzazione delle emissioni di CO2 catturate in serbatoi sotterranei o formazioni rocciose, tecnologia ormai matura ma anche molto discussa e contrastata dalla Commissione europea e da diversi esponenti del panorama scientifico e ambientalista. «Costosa e insicura, una tecnologia vecchia e senza futuro». Non lo confermerebbe solo il mancato finanziamento con i fondi europei del progetto di Eni da 1,35 miliardi di euro volto a realizzare nel ravennate un sito CCS sfruttando giacimenti di gas ormai esauriti, ma anche un rapporto del Tyndall Center in Inghilterra che mette in luce le dimensioni operative insufficienti di questa tecnologia.

 

 

Nel report si legge che «la capacità operativa globale di CCS è attualmente di 39 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, ovvero circa lo 0,1% delle emissioni globali annue da combustibili fossili». Visti così i numeri sono insignificanti, si pensi che esistono solo 26 impianti CCS operativi nel mondo, e l’81% del carbonio catturato fino ad oggi è utilizzato per estrarre ancora più petrolio attraverso il processo di “Enhanced oil recovery”.

La CCU (carbon capture and utilization) è un metodo che prevede, oltre alla cattura, anche il riutilizzo della CO2. Include sia processi in cui la CO2 viene utilizzata senza modificarne la struttura molecolare — più comunemente nel recupero avanzato del petrolio a cui si accennava sopra, “Enhanced oil recovery” (EOR) —, sia processi che prevedono una ricombinazione della molecola con l’idrogeno. L’Enhanced oil recovery è l’estrazione di petrolio greggio da un giacimento petrolifero da cui non può essere estratto in altra forma se non facilitando il processo con aggiunta di anidride carbonica per produrre più petrolio. Il combustibile così estratto ha un’impronta di carbonio inferiore rispetto a quello convenzionale. 

Nello scenario delle nuove energie rinnovabili invece la cattura e l’utilizzo del carbonio si applica alla produzione di combustibili sintetici (e-fuels), come il metanolo per esempio, derivante dalla combinazione tra idrogeno rinnovabile e anidride carbonica. Il riutilizzo della CO2 per la produzione di metanolo consente di superare l’ostacolo dell’alta densità volumetrica dell’idrogeno, trasformando questo vettore in un combustibile liquido molto più maneggevole da un punto di vista logistico. 

 

Immaginiamo un futuro in cui non estrarremo mai più il carbonio fossile dal suolo ma un futuro in cui il carbonio sarà circolare, raccolto dall’aria e dalle discariche per produrre nuovi prodotti utilizzando energia pulita del sole che alimenta un intero ecosistema basato su CO2 e acqua come materie prime. Al fine di raggiungere gli obiettivi del 2030 e del 2050 per mantenere il riscaldamento globale inferiore ai 2 gradi, sarà necessario che tutti gli approcci lavorino insieme. In questo scenario, la trasformazione del carbonio si rivela una parte fondamentale della strategia globale per il clima.  

 

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