Idrogeno, la chiave della neutralità climatica

Per vivere un futuro sostenibile dobbiamo essere consapevoli che gli sforzi congiunti per abbattere il biossido di carbonio (CO2) vanno incrementati per portare la bilancia di emissioni in negativo nel più breve tempo possibile. Un’impresa che con le attuali tecnologie non è più una “mission impossible” ma che necessita di essere programmata — con ordine e per settore  con il fine di contrastare gli effetti del cambio climatico.

 

Per decarbonizzare i processi energetici l’idrogeno verde è il candidato perfetto, adatto a supportare la razionalizzazione del settore delle rinnovabili, si ottiene tramite elettrolisi dall’acqua. Qualche visionario già 150 anni fa aveva previsto che proprio dall’acqua sarebbe venuto il carburante del futuro. Apriamo questo dossier con le parole di Jules Verne del 1872: «Credo fermamente che un giorno l’acqua sarà usata come combustibile, che l’idrogeno e l’ossigeno che la compongono, usati isolatamente o insieme, forniranno una fonte di luce e calore inesauribile e di un’intensità che dal carbon fossile non si potrebbe mai ottenere».

 

Il futuro della decarbonizzazione

La CO2 si incontra ovunque sul nostro pianeta, si trova nell’atmosfera ma, in proporzioni maggiori, anche nella biosfera, nell’idrosfera e nella litosfera, la parte di suolo terrestre più superficiale. Per quanto in atmosfera sia presente in minor concentrazione rispetto alle altre riserve presenti in natura, il paradosso è che la CO2 atmosferica gioca il ruolo più importante nel cambio climatico arrivando a permanere per decenni intrappolata nell’aria che respiriamo. Motivo che spinge l’Europa e il mondo ad attuare con interventi di riduzione drastica già a partire da questa decade attraverso il ridisegno del paradigma energetico attuale. L’idrogeno verde è il protagonista di questo futuro. L’idrogeno occuperà un quarto nel mix energetico del futuro, un altro quarto sarà occupato da biogas e residui organici, l’altra metà da fonti rinnovabili.

Oggi anche il mondo della finanza si è mosso in maniera forse più risolutiva dei governi sul clima, da quando BlackRock e in seguito anche gli altri fondi di investimento hanno preso posizione sulle politiche di sostenibilità ritenute fondamentali per investire su aziende guidate da criteri chiari e declinati su ambiente, governance e trasparenza. Fino a poco tempo fa le rinnovabili erano osteggiate anche dai cartelli del petrolio, oggi assistiamo a una riconversione del loro business per la produzione di energia pulita e idrogeno.

La Comunità europea ha individuato nei settori industria, trasporti pesanti, comparto marittimo e residenziale le aree di maggior interesse chiamate a trainare la transizione verde per mezzo di un cambio di rotta epocale volto a promuovere il vettore idrogeno come sostituto delle fonti fossili. Sempre la Comunità europea ha chiarito una volta per tutte che l’idrogeno non ha colore — grigio, blu, verde — semplificando la classifica di sostenibilità e dichiarando che esiste solo un “idrogeno rinnovabile” (verde) prodotto da energia pulita e uno  “non rinnovabile” (blu e grigio) prodotto da fonti fossili. Per il momento l’Europa non ha ancora messo al bando l’idrogeno non rinnovabile ma ha avvisato che non sarà disposta a erogare sovvenzioni per progetti riguardanti la produzione di idrogeno da fonti fossili. La strategia europea per l’integrazione dell’economia dell’idrogeno rinnovabile al 2030 richiederà ingenti investimenti che, secondo le stime dell’Irena (International Renewable Energy Agency) oscillano tra i 24 e i 42 miliardi di euro solo per il parco elettrolizzatori da installare, ai quali si devono aggiungere altri 240 / 330 miliardi di euro nella tecnologia delle fonti rinnovabili per una potenza in grado di erogare 120 gigawatt. Altri 65 miliardi di euro saranno investiti nelle infrastrutture e 11 miliardi per lavori di adeguamento delle vecchie centrali di gas naturale. Solo in questo modo l’idrogeno rinnovabile prodotto da fotovoltaico ed eolico tramite il processo di elettrolisi potrà essere uno dei pilastri su cui si giocherà la partita della decarbonizzazione al 2050. 

Anche sul piano etimologico il riferimento alla generazione di energia pulita non sfugge. Idrogeno è composto dal suffisso gen e dalla radice idro, dove “gen” sta per creatore e “idro” per acqua: la fase di combustione dell’idrogeno infatti ha come unica componente di scarto del processo energetico l’acqua, un processo pulito al 100%. Durante la combustione 2 molecole di idrogeno reagiscono con una molecola di ossigeno per formare due molecole d’acqua.

 

Idrogeno per non perdere i sovraccarichi delle rinnovabili

Per produrre idrogeno verde tramite elettrolisi è necessaria energia elettrica a sua volta generata da fonti green come eolico e solare, tecnologie che si stima arriveranno a cubare in Italia una potenza di 125 gigawatt nel 2030.

Con l’abbondanza di rinnovabili già dal prossimo decennio l’idrogeno garantirebbe servizi di flessibilità e resilienza al sistema elettrico, assorbendo i picchi di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili e sostenendo in questo modo la crescente diffusione di rinnovabili non programmabili anche grazie alla capacità di funzionare da anello di congiunzione tra il settore del gas con quello dell’energia elettrica. Già attualmente l’idrogeno rappresenterebbe un supporto energetico green laddove la richiesta di potenza generata da rinnovabili non fosse sufficiente proporzionando una soluzione alle fluttuazioni energetiche di eolico e fotovoltaico.

Allo stesso modo, nella sua produzione potrebbe essere impiegata una quota di energia rinnovabile extra, quel sovraccarico che la rete non sarebbe in grado di assorbire perché in eccedenza rispetto al reale fabbisogno richiesto in un dato momento e per insufficiente capacità infrastrutturale di trasporto. Si potrebbe dire che esiste un mercato occulto legato al potenziale di generazione energetica da rinnovabili ancora non completamente esplorato. 

Si stima che già attualmente sia altissimo il potenziale energetico derivante dalla riduzione coatta dell’energia rinnovabile, un “taglio obbligato” dell’output capace di generare eccedenze al momento non utilizzabili nella rete. L’idrogeno si presta come candidato ideale per trasformare questo surplus in uno storage energetico flessibile, evitando i sovraccarichi delle reti per un miglior utilizzo degli impianti.

Se oggi questa riduzione dell’output è una prassi diffusa, domani lo sarà sempre di più se non si troveranno soluzioni ottimali per la costruzione di nuove infrastrutture di rete o di storage. 

I vantaggi della trasformazione di corrente elettrica nel vettore idrogeno sarebbero enormi, sia sul piano ambientale sia su quello economico. Nella sola Germania scongiurare la prassi del taglio di energia eccedente prodotta da rinnovabili rappresenterebbe un’operazione in grado di generare un giro d’affari da 3 miliardi di euro. Se pensiamo che la Germania ha stanziato 7 miliardi di euro — oltre a quelli messi sul piatto dal Green Deal — per finanziare progetti sulle energie rinnovabili, i vicini tedeschi sarebbero in grado di recuperare quegli investimenti da miliardi di euro nell’arco di un paio d’anni producendo idrogeno verde dalle eccedenze rinnovabili. I problemi del surplus di energia da rinnovabili — soprattutto in periodi critici come l’estate — sono comuni in tutto il mondo. Per esempio i dati rilevati dall’Indipendent System Operator californiano registrano che nel 2016 proprio in California furono tagliati 310 gigawatt di potenza da rinnovabili, uno spreco di una magnitudine che nessun paese è più in grado di permettersi per non perdere di vista l’obiettivo della totale decarbonizzazione.

 

 

Il fattore “prossimità” e le tecnologie inclusive

Lo stoccaggio e il trasporto di energia derivante dall’abbondanza di rinnovabili presuppone una serie di questioni di gestione della rete. Le infrastrutture per il trasporto di elettroni oggi non sono un’alternativa conveniente sul piano economico per mettere a fattor comune il potenziale generato dalle rinnovabili. È più costoso trasportare questa energia che trasformarla in un altro vettore energetico. Lo storage in accumulatori non risolverebbe del tutto il problema delle eccedenze e della flessibilità perché le batterie, disponendo di tanta potenza ma di poca energia, non sono ideate per offrire rendimento nel lungo periodo. La tecnologia degli accumulatori però, anche se di scarsa utilità per lo stoccaggio di grandi quantità di energia elettrica offre il suo supporto nella trasformazione dell’elettricità in idrogeno.

L’idrogeno non potrà da solo centrare l’obiettivo della completa decarbonizzazione, ma dovrà necessariamente essere affiancato da altre innovazioni tecnologiche, come le batterie, per sperare nei risultati previsti. Il motivo è da ricercare nei limiti delle tecnologie stesse di produzione e storage. L’ideale sarebbe non escluderne una a discapito di un’altra, ma percorrere la strada dell’integrazione per un uso combinato di tecnologie energetiche.

Fuel cells ed elettrolizzatori, infatti, presentano un gap strutturale per cui difficilmente si adattano all’utilizzo di un carico di potenza discontinuo come quello delle rinnovabili, motivo per cui è indispensabile affiancare a queste soluzioni un “tampone stabilizzatore”, come un accumulatore, per evitare picchi o cadute di potenza. 

Un altro fattore da considerare nell’utilizzo dell’idrogeno è la prossimità: non è consigliabile installare un elettrolizzatore a centinaia o migliaia di chilometri dal parco rinnovabili di produzione perché il solo trasporto dell’energia richiederebbe l'allacciamento a una infrastruttura che ne farebbe lievitare il prezzo finale. Produrre idrogeno in situ consente di tagliare anche i costi legati alla tassazione dell’energia. Non è un caso che siano già tanti i progetti allo studio per l’installazione di elettrolizzatori flottanti in alto mare collegati a un parco eolico offshore. Grazie a questa soluzione saremo in grado di produrre idrogeno nel bel mezzo dell’oceano offrendo nuove progettualità per le hydrogen valley e garantendo allo stesso tempo punti di ricarica di combustibile per le grandi navi intercontinentali. Ma questa é una visione futurista ancora non del tutto realizzabile.

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