Africa: rinnovabili a gonfie vele, Italia più lenta

Anche per i paesi africani e per gli storici produttori di greggio mediorientali l’economia dell’idrogeno potrebbe rappresentare una via duscita, per i primi da una condizione di svantaggio energetico e industriale, per i secondi da un’economia da sempre vincolata al petrolio.

Un’occasione senza precedenti per posizionarsi in futuro tra i maggiori esportatori di idrogeno dando respiro a una nuova economia. Sono noti in questo senso i progetti sui parchi fotovoltaici in Marocco e in Arabia Saudita – che sembra finalmente dire addio al petrolio – e sull’eolico nel golfo di Guinea in Nigeria, uscita da anni di sfruttamento offshore incontrollato, di sabotaggi e di furti direttamente dalle condotte petrolifere. Eppure anche nel paese dove il petrolio mostra il suo lato più oscuro sta cambiando qualcosa: la Synergent PowerShare Nigeria Limited si è fatta avanti dicendo di essere pronta a investire 15 miliardi di dollari nel corso dei prossimi 10 anni per produrre 5 mila megawatt da energia eolica e solare.

Sull’estremo orientale del continente invece, sul Corno d’Africa, si trova la Repubblica di Gibuti, un mini stato conteso dalle super potenze internazionali per il controllo del braccio di mare che regola gli accessi al canale di Suez. A Gibuti da anni si stanno avviando progetti ambiziosi in tema di energia, acqua e sviluppo sostenibile. A confermarlo sarebbe l’Africa Finance Corporation, che ha reso noto lo scorso anno di voler investire 63 milioni di dollari in un progetto di energia rinnovabile precisando che i fondi saranno utilizzati per sviluppare un parco eolico da 60 megawatt affidato a Siemens Gamesa nella zona di Ghoubbet, vicino al lago Assal. Obiettivo del governo di Gibuti è produrre il 100% del proprio fabbisogno energetico da fonti rinnovabili entro il 2030.

Anche il Marocco può contare su un potenziale energetico da fonti rinnovabili significativo. Dal Ministero dell’Industria del governo spagnolo si rende noto che i passi avanti compiuti negli anni passati hanno attratto in Marocco gli investimenti di una decina di imprese straniere del settore energia. Il paese ha in agenda un piano di crescita basato sull’economia dell’idrogeno di cui si convertirà al 100% esportatore nel 2030. Per facilitare questo processo il governo di Rabat è impegnato nella finalizzazione di un lavoro di modernizzazione del quadro legislativo e di regolamentazione, intendendo semplificare i procedimenti di autorizzazione, l’accesso ai fondi di finanziamento e la redditività dei progetti H2.

 

 

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I passi avanti che molti paesi extra europei stanno compiendo per trarre vantaggi dall’economia dell’idrogeno hanno attirato gli investitori che vedono opportunità d’oro nello sviluppo delle rinnovabili laddove non esistono complesse problematiche legate ai permessi e ai costi di installazione. Secondo una stima di Elettricità Futura quasi il 50% dei progetti presentati per la realizzazione di parchi rinnovabili in Italia non viene realizzato e per l’altro 50% sono necessari 6 anni di “peregrinazioni” burocratiche. Per risolvere questo problema l’Europa ha già dato una risposta consegnando nel “Fit for 55” la proposta di sbloccare il mercato elettrico attraverso la riduzione dei costi di installazione degli impianti e favorendo, dove possibile, l’utilizzo di quell’energia rinnovabile tagliata fuori dalla rete elettrica perché considerata “eccedente” al fabbisogno. L’obiettivo è convogliare quel surplus energetico, utilizzandolo localmente all’interno di un progetto di comunità energetica o trasportarlo in rete e trasformarlo in idrogeno. La risposta dell’Europa al problema dei costi e dei permessi è approcciare le logiche del mercato elettrico con maggior elasticità, trasformando gli investimenti nei vantaggi operativi del futuro. Un cambio di prospettiva che vede l’Europa in prima fila impegnata nella comunicazione per l’accettazione sociale dei benefici dell’installazione di parchi eolici e fotovoltaici. In Italia si stima che per l’installazione di 35 gigawatt di fotovoltaico utility scale – equivalente più o meno alla metà della capacità elettrica da rinnovabili di cui avremo bisogno nel 2030 – sarà necessaria una superficie di 50 mila ettari, di fatto corrispondente solo allo 0,3% della superficie agricola totale e all’1,4% della superficie agricola inutilizzata. 

 

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