Salpa la prima nave carica di idrogeno, destinazione Giappone. Gli esperti: meglio l’ammoniaca

La notizia che la prima nave al mondo carica di idrogeno arriverà in Giappone ha già fatto il giro del mondo. L’entusiasmo per questo evento, risultato della stretta collaborazione tra Australia e Giappone per creare una catena di approvvigionamento di H2, rischia però di smorzarsi già dopo il primo carico. Gli esperti sostengono che sia più conveniente trasportare per mare l’ammoniaca verde. Servirebbero teoricamente più di tre spedizioni di idrogeno liquido (H2) per trasportare la stessa quantità di energia di due spedizioni di ammoniaca (NH3).

 

Il segreto è tutto nella loro composizione chimica. Idrogeno e ammoniaca si assomigliano molto, ma in termini di quantità energetica su unità di volume, l’ammoniaca è un’opzione molto più economica per il trasporto marittimo a lunga distanza: occupa meno spazio e offre maggiore disponibilità di energia.

Nonostante più dell’85% dei progetti di idrogeno a basse emissioni di carbonio e idrogeno rinnovabile orientati all’esportazione prevedano di trasportare il gas nella forma di ammoniaca, il primo carico al mondo è stato invece di idrogeno puro al 99%. Come mai?

La prima spedizione al mondo di idrogeno liquido, diretta in Giappone nell’ambito di un progetto internazionale da 350 milioni di dollari, ha fatto notizia in tutto il mondo, ma potrebbe anche rivelarsi un fiasco oltre che un colossale spreco di denaro. Vediamo perché.

 «Mettendo da parte il fatto che il progetto Hydrogen Energy Supply Chain (HESC) è spietatamente sporco in quanto produce idrogeno dalla lignite e utilizza il diesel per alimentare la nave Suiso Frontier nel suo viaggio di 20 giorni, – scrive Leigh Collins, managing editor di Recharge – l’idea che qualsiasi operatore commerciale esporti idrogeno puro via nave sembra sempre più improbabile».

Una motivazione che non dipende dalle emissioni di gas serra, o dalla mancanza di navi o di strutture portuali adeguate, ma esclusivamente dalla composizione chimica e dal costo. A confermarlo sarebbero l’Agenzia internazionale per l’energia rinnovabile (Irena), il think tank tedesco Agora Energiewende e la società di consulenza energetica Wood Mackenzie, secondo i quali avrebbe molto più senso dal punto di vista economico trasportare e commercializzare ammoniaca (NH3), un derivato dell’idrogeno, piuttosto che H2 puro.

Sono tre ragioni per cui l’ammoniaca è preferibile all’idrogeno puro per le esportazioni a lunga distanza: la sua densità energetica; la sua collaudata tecnologia di sintesi con le catene di approvvigionamento esistenti e il suo potenziale per guidare la decarbonizzazione a pieno titolo.

La stessa Irena, nel rapporto “Geopolitics of the Energy Transformation: The Hydrogen Factor” spiega che «Il trasporto di idrogeno via nave è tecnicamente possibile su lunghe distanze, dove i gasdotti non sono un’opzione. A causa della sua bassa densità di energia in volume, è meglio convertire l’idrogeno gassoso in un liquido più denso prima di essere caricato su una nave». E poi conclude: «Esistono diversi vettori per il trasporto dell'idrogeno via nave, ma l’ammoniaca è il più promettente».

Alla normale pressione atmosferica, l’idrogeno contiene solo 3kWh di energia per metro cubo, quindi deve essere compresso o liquefatto per aumentare la sua densità di energia a 1.411 kWh/m3 (a una pressione di 700 bar), o 2.350 kWh/m3 quando viene super-raffreddato allo stato liquido a meno 253°C.

La densità di energia volumetrica dell’ammoniaca invece è superiore del 59% rispetto a quella dell’idrogeno, densità stimata in 3.730 kWh/m3 se conservata nella sua forma liquida standard, a meno 33,3°C. Quindi, supponendo navi delle stesse dimensioni, ci vorrebbero teoricamente più di tre spedizioni di idrogeno liquido per trasportare la stessa quantità di energia di due spedizioni di ammoniaca. L’equazione risulterebbe sempre a favore dell’ammoniaca anche tenuto conto del processo di produzione, noto come processo Haber-Bosch, che combina l’azoto dell’aria con l’idrogeno per formare ammoniaca.

 

La Suiso Frontier che sta portando la prima spedizione al mondo di idrogeno liquido dall’Australia meridionale al Giappone.

 

Prima di tutto bisogna guardare ai costi

Secondo un rapporto del 2019 del Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti, un nuovo impianto di liquefazione di idrogeno con una capacità di 27 tonnellate al giorno costerebbe 150 milioni di dollari, circa 1,40 dollari al chilo. A questo prezzo vanno poi aggiunti i costi di gestione, che sono ulteriori 2,75 dollari al kg, tutto ciò non includendo i costi di produzione dell’idrogeno.

Secondo Bunro Shiowaza, associato presso la nipponica Sumitomo Chemical Company, la produzione di ammoniaca a zero emissioni di carbonio dall’idrogeno verde (al prezzo di  3 dollari al kg) costerebbe 480 dollari per tonnellata, 0,48 dollari al kg. L’idrogeno liquido da fonti rinnovabili costerebbe invece 7,15 dollari al kg, quasi 15 volte di più dell’ammoniaca verde.

Secondo i calcoli di ricarica, ciò significa che un carico di 160 mila m3 (la dimensione standard di una nave) di idrogeno liquido costerebbe circa 200 dollari per MWh da produrre, rispetto a poco meno di 88 dollari per  MWh di ammoniaca liquida.

Un altro motivo importante per trasportare l’ammoniaca anziché l’idrogeno liquido è il loro punto di ebollizione, cioè la temperatura alla quale il liquido ritorna allo stato gassoso. Poiché l’idrogeno liquido deve essere conservato a una temperatura molto più fredda dell’ammoniaca (meno 253°C contro meno 33°C), è molto più difficile mantenere quella temperatura durante i lunghi viaggi, specialmente quando le navi fanno affidamento sull’isolamento per mantenere freddi questi liquidi, piuttosto che usare la refrigerazione di bordo, come la Suiso Frontier.

Il mercato globale dell’ammoniaca è enorme, con circa 176 milioni di tonnellate all’anno, secondo la Royal Society del Regno Unito. E come ha sottolineato l’International Energy Agency nel suo rapporto 2019 Il futuro dell’idrogeno, nel 2018 sono state utilizzate per la produzione di ammoniaca 31,5 milioni di tonnellate di idrogeno, circa il 42% della produzione globale annuale, quasi tutta derivata però da combustibili fossili.  

Sostituire quell’ammoniaca sporca con quella verde generata a partire da idrogeno rinnovabile sarà vitale se il pianeta vuole raggiungere emissioni nette zero entro il 2050.

 

 

 

 

 

 

 

   

 

 

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