Protagonisti della transizione: i Bioneer dell’energia e dell’ambiente

L’evoluzione del genere umano e la sua relazione con il pianeta sono da decenni oggetto di ricerche scientifiche supportate da strumenti sempre più precisi; i dati raccolti hanno delineato modelli predittivi molto accurati, che hanno trovato conferma nelle esperienze dirette di milioni di persone vittime dell’accelerazione dei cambiamenti climatici.

La percezione reale dei danni ambientali è mitigata dai limiti dell’essere umano e dalla scarsa capacità di osservazione critica che lo caratterizza. Tuttavia, la frequenza degli eventi estremi e i continui record negativi di emissioni e incremento della temperatura media hanno determinato conseguenze visibili a tutti.

Se non si inverte la rotta e non ci si impegna a cambiare le sorti del nostro pianeta, le conseguenze possono rivelarsi imprevedibili, come ha recentemente sostenuto il premio Nobel per la Fisica 2021 Giorgio Parisi nel suo discorso alla riunione PreCop26 nell’Aula di Montecitorio: «l’umanità deve fare delle scelte essenziali, deve contrastare con forza il cambiamento climatico. Se la temperatura del nostro pianeta aumenta più di due gradi, entriamo in una terra incognita in cui ci possono essere anche altri fenomeni che non abbiamo previsto, che possono peggiorare enormemente la situazione. Per esempio incendi di foreste colossali come l’Amazzonia, che immetterebbero in maniera catastrofica quantità enormi di gas serra; gli oceani, che al momento attuale stanno assorbendo molti dei gas serra che emettiamo... ma questo fenomeno continuerà in una terra due gradi più calda? L’aumento della temperatura non è controllato solo delle emissioni dirette ma è mitigato da tantissimi meccanismi di regolazione che potrebbero cessare di funzionare con l’aumento della temperatura. Mentre il limite inferiore ai due gradi è qualcosa sul quale possiamo essere abbastanza sicuri, è molto più difficile capire quale sia lo scenario più pessimistico: potrebbe essere molto ma molto peggiore di quello che noi immaginiamo».

Tema principale della motivazione del premio Nobel di quest’anno, lo studio del clima ha costituito una delle applicazioni delle teorie di Parisi, esperto di sistemi complessi, ossia fenomeni in cui un gran numero di unità sono collegate attraverso interazioni disordinate, proprio come avviene nel clima, sistema fisico complesso la cui conoscenza richiede una rigorosa analisi delle osservazioni scientifiche; grazie al suo lavoro, che ha ispirato molti scienziati e ha già trovato applicazione per esempio nello studio dell’evoluzione dei ghiacciai, è possibile creare modelli dell’atmosfera e del clima che ci aiuteranno a comprendere svariati fenomeni, e si è aperto un ampissimo settore di ricerca nel campo delle probabilità.

Nel suo discorso alla presenza dei parlamentari e del Presidente della Repubblica Mattarella, il premio Nobel ha inserito anche considerazioni di carattere economico, sociale e politico, sostenendo, come molti economisti, la necessità di integrare al Pil altri indici per misurare l’economia di un paese (per esempio l’indice di sviluppo umano e l’indice di benessere economico sostenibile, che includono svariati aspetti come il benessere delle persone, la sostenibilità della crescita, l’impatto sulle risorse del pianeta, la quantità di benzina e carbone importati, la soddisfazione dei diritti civili…): il Pil da solo «non è una buona misura dell’economia: cattura la quantità ma non la qualità della crescita. Il prodotto interno lordo dei singoli paesi sta alla base delle decisioni politiche e la missione dei governi sembra essere di aumentare il Pil il più possibile, obiettivo che è in profondo contrasto con l’arresto del cambiamento climatico. Se il prodotto nazionale lordo rimarrà al centro dell’attenzione, il nostro futuro sarà triste. I politici, i giornalisti, gli economisti che pianificano il nostro futuro e monitorano i progressi che sono stati fatti, devono usare un indice che consideri altri aspetti oltre al prodotto nazionale lordo».

Si tratta dunque di un indice di crescita sostenibile integrato al Pil, traguardo da cui attualmente siamo ancora lontani.

Finora infatti i sistemi di valori asimmetrici dei competitori in gioco hanno condotto a un’insanabile contrapposizione di interessi. Da una parte i paesi colpiti da lutti e perdite, i cui governi sono stati costretti a indire piani emergenziali che ne minano la stabilità economica; dall’altra, le comunità ricche del pianeta che intendono mantenere i privilegi e continuano a saccheggiare le risorse indispensabili all’espansione tecnologica e industriale. Il presente vede però finalmente affermarsi una terza posizione: quella di giovani e adulti consapevoli della connessione profonda tra essere umano e natura e determinati a cambiare la direzione dello sviluppo. Le persone si aggregano, si aiutano, cercano soluzioni tecnologiche da destinare a progetti di protezione dell’ambiente. 

Tra posizioni diversissime è difficile la costruzione del dialogo: profitto da un lato e ambiente dall’altro hanno rappresentato fino a pochi anni fa i termini di un’antitesi irrisolvibile. Poi è arrivato il Covid, che si è rivelato una formidabile occasione di riflessione grazie alla quale molti hanno scoperto desideri di mutamento inattesi: in tanti ci siamo chiesti quale potesse essere, prima fra tutte, l’iniziativa per cambiare rotta. Tutti i think tank concordano sulla necessità di ridurre le emissioni di CO2. Il passaggio dalle energie fossili a quelle rinnovabili costituisce il punto di leva collettiva per innescare una transizione efficace e duratura: la convenienza del fossile si riduce e la filiera produttiva ne ha preso coscienza. Anche i fondi di investimento abbandonano il settore energetico tradizionale per puntare sulle tecnologie di produzione a zero emissioni. 

Il Covid ha rappresentato un momento di sintesi, una scossa al sistema economico; lo stop agli spostamenti ha reso possibile l’analisi di una nuova dimensione del lavoro, delle relazioni e della vita sociale. La spinta al cambiamento ha molte ragioni per accelerare la trasformazione: tra queste, la necessità di convertire rapidamente le imprese e formare i lavoratori a nuovi modelli produttivi più dinamici, flessibili e orientati alla sostenibilità. Interi settori e filiere produttive dovranno essere rifondati e ristrutturati: si pensi alle materie plastiche e all’evoluzione dei polimeri biodegradabili, alle aziende di mobilità, alla distribuzione e alla logistica. In effetti, tutte le attività e le filiere dovranno modificare parti significative dei processi per centrare gli obiettivi di sviluppo sostenibile regolati dall’agenda 2030 delle Nazioni Unite e ratificati dalle istituzioni europee e italiane. 

La ristrutturazione della filiera distributiva trasformerà radicalmente anche servizi e prodotti green per le piccole e medie imprese.

Attualmente i servizi per la transizione ecologica delle imprese sono riassumibili nelle macro aree della riduzione di emissioni e della diminuzione del consumo di risorse naturali. Il modello ideale da raggiungere è l’economia circolare a impatto zero. La transizione è il tempo in cui si gestisce la coesistenza, spesso conflittuale, tra un modello considerato da superare e uno nuovo ancora non affermato. Una conseguenza sarà l’evoluzione delle esigenze di piccole e medie imprese, realtà non sempre in grado di competere nella trasformazione digitale ed ecologica. Finora le vendite e i consumi della piccola impresa sono stati pilotati in gran misura dal principio del profitto, che non tiene in alcun conto l’impatto ambientale e sociale delle scelte aziendali; spesso gli imprenditori più sensibili a queste tematiche hanno avuto difficoltà a contenere le emissioni e a garantire la salvaguardia dell’ambiente per la carenza di leggi e incentivi economici atti a sostenerne finanziariamente le iniziative. 

Oltre a legislazione e aiuti economici, per realizzare la transizione ecologica occorrono molti altri strumenti, come politiche strutturate di sostegno e soluzioni pronte all’uso, ma soprattutto un interlocutore leale e competente che, tutelando gli interessi dell’ambiente, renda possibile per l’impresa e la comunità il passaggio concreto verso una società sostenibile. Si tratta di un professionista delle soluzioni plug in, che fa per le piccole e medie imprese, su scala ridotta e con soluzioni già pronte all’uso, quanto gli energy manager o gli esperti in gestione energetica fanno per le grandi imprese e le realtà pubbliche.

Nel clima di riflessione maturato durante l’arresto di tutte le attività imposto dal Covid, i fondatori di Anbea hanno identificato nel desiderio collettivo di migliorare il mondo attraverso le azioni quotidiane l’elemento strategico indispensabile alla transizione tecnologica: è tempo di agire e trasformare ogni buon proposito in azione concreta e misurabile per ridurre l’inquinamento e le emissioni nocive, facilitando con ogni mezzo la diffusione della transizione ecologica verso la sostenibilità.

Bioneer è il nome emerso per designare il protagonista di questa transizione, neologismo anglosassone emerso negli ultimi anni e ormai diffuso, associato al concetto di salvaguardia del pianeta e interventi per la salute. In diversi paesi prende forma la figura del Bioneer, impegnato nel cambiamento di modello economico da lineare a circolare. Le conoscenze e le competenze che caratterizzano il Bioneer riguardano le aree delle relazioni sociali e professionali, la produzione di energie rinnovabili e il risparmio energetico, il rispetto dell’ambiente e delle comunità locali. Il Bioneer infatti collabora con le imprese e le famiglie per un uso consapevole delle risorse energetiche, contribuisce a creare la responsabilità sociale d’impresa e rimarca il ruolo chiave delle attività produttive, delle famiglie, delle lavoratrici e lavoratori nella protezione dell’ecosistema. Oggi ricorrere a un Bioneer significa lavorare fianco a fianco con esperti dei cambiamenti che la transizione ecologica comporta. La consulenza di un Bioneer facilita il processo per redigere il bilancio di sostenibilità, il modo certificato di valutare l’impresa e il suo impatto ambientale e sociale.

Le imprese cosiddette energivore sono coadiuvate nella gestione dei vettori energetici dagli energy manager e dagli esperti in gestione energetica, la cui complessa preparazione consente la certificazione di pochi professionisti all’anno, insufficienti a facilitare la transizione per le piccole e medie imprese, struttura portante del made in Italy con circa tre milioni di partite iva che impiegano oltre quattro milioni di addetti. Il ruolo del Bioneer è portare alle piccole e medie imprese italiane soluzioni di produzione di energia rinnovabile ed efficientamento energetico, certificare la riduzione delle emissioni e redigere i bilanci di sostenibilità. 

In questo modo sarà possibile intraprendere davvero il percorso della transizione ecologica, responsabilità collettiva improrogabile.

Il futuro è nelle mani di quelli che lo costruiscono, il Bioneer è ognuno di noi! 

 

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