Moda e riciclo: soluzioni per un settore in trasformazione

L’industria della moda contribuisce tra il 2-10% delle emissioni globali di carbonio. Anche in questo settore si esige un cambio di rotta per consentire la neutralità climatica entro la metà del secolo. Ma la sua più grande sfida è la circolarità: meno dell’1% degli indumenti viene attualmente riciclato in nuovi articoli indossabili. I vestiti sono difficili da riciclare in materiale di qualità, soprattutto se sono realizzati con miscele di fibre diverse.  La mancanza di riciclaggio significa che l’industria continua a fare molto affidamento sui materiali vergini.

 

Si stima che l’industria della moda, dal recupero dei materiali, alle catene di approvvigionamento, al lavaggio e ai rifiuti, sia responsabile dell’8-10% delle emissioni globali di carbonio, secondo le Nazioni Unite, mentre altre stime collocano la cifra tra il 2% e l’8,1%. Oltre alle emissioni di CO2 l’industria del fashion ha un altro tallone d’Achille: l’approvvigionamento di acqua dolce e l’inquinamento idrico. 

Gran parte dei problemi derivano dai nuovi modelli di consumo “usa e getta”, il famigerato “fast fashion”, che ha aggravato una situazione già critica. Secondo l’organizzazione no profit Wrap per la riduzione dei rifiuti, la produzione globale di abbigliamento è raddoppiata tra il 2000 e il 2015, mentre il numero medio di volte in cui vengono indossati gli indumenti è diminuito del 36%. I grandi marchi lanciano centinaia di collezioni ogni anno e l’emergere di marchi digitali a basso prezzo ha visto un’inondazione di vestiti a 10 euro. Nulla di nuovo sotto il sole, tutte cose a cui da anni ormai siamo abituati (vedi il modello di business di Primark) certo è che, se si vende un costume da bagno a 1 euro, si dà l’impressione che i vestiti siano da usare e buttare.

Ciò che i prezzi bassi non dicono è l’alto costo ambientale del nostro risparmio. Un risparmio il cui significato si traduce nel fatto che spesso è più economico per i consumatori acquistare un nuovo vestito piuttosto che far riparare il vecchio, agevolando una logica di consumo che ha portato a montagne di vestiti scartati che poi sono stati bruciati o gettati in discarica.

Secondo i dati proporzionati dalla BBC circa l’85% di tutti i prodotti tessili buttati negli Stati Uniti, circa 13 milioni di tonnellate nel 2017, viene portato in discarica o bruciato.  Si stima che l’americano medio butti via circa 37 kg di vestiti ogni anno. E a livello globale, ogni anno vengono creati 92 milioni di tonnellate di rifiuti tessili, senza contare che l’equivalente di un camion di spazzatura pieno di vestiti finisce nelle discariche ogni secondo. Entro il 2030, si prevede che nel complesso scarteremo oltre 134 milioni di tonnellate di rifiuti tessili all’anno.

 

La tecnologia che cambia il fashion

Mentre il mondo si affretta a rispettare i suoi impegni per limitare le emissioni di carbonio allo zero netto entro la metà del secolo, l’industria della moda ha un enorme lavoro davanti a sé per fare la sua parte. Stanno così nascendo nuove iniziative per trasformare quello della moda in un business più circolare e sostenibile. In questo percorso le tecnologie digitali sono indispensabili per ricucire lo strappo tra la domanda e offerta.

La startup Save Your Wardrobe, per esempio, utilizza la tecnologia per aiutare le persone a mettere ordine nel proprio guardaroba per eliminare gli sprechi. L’azienda utilizza software di visione artificiale e riconoscimento delle immagini per creare un’immagine digitale del guardaroba di un utente. Quindi consiglia come creare nuovi abiti e come connettere gli utenti ai servizi di riparazione o al lavaggio a secco rispettoso dell’ambiente. Si tratta di un’applicazione che può aiutare le persone ad essere consapevoli di cosa possiedono, e soprattutto di cosa non utilizzano più. Attraverso la app si crea un guardaroba virtuale caricando le foto di ogni capo di abbigliamento nell’armadio e, accostando le foto dei vari capi, si dà forma agli outfit, che si possono catalogare anche in base alle occasioni. Una app che si rivela fondamentale per capire cosa nell’armadio è di troppo, e cosa invece si può sfruttare meglio. A ottobre l’azienda ha siglato una partnership con il colosso tedesco dell’e-commerce Zalando, che utilizzerà la tecnologia Save Your Wardrobe per offrire ai clienti un servizio di assistenza post-vendita per i loro vestiti. La missione, dicono da Save Your Wardrobe "è quella di utilizzare la tecnologia per guidare gli utenti a riconnettersi con il contenuto del proprio guardaroba e trarne il massimo, incoraggiandoli infine a comprare meno e meglio".

Save Your Wardrobe è solo una delle tante aziende che utilizzano nuove tecnologie e modelli di business radicalmente diversi per cercare di rivoluzionare il settore. Grazie alla sensibilizzazione su nuovi modi di consumo, alla produzione di abbigliamento più sostenibile e alla possibilità di riciclare i capi alla fine della loro vita, il mondo della moda potrebbe apparire molto diverso da qui al 2045.

 

 

Intercettare nuovi bisogni e creare il modello circolare

Uno dei maggiori problemi che la moda deve affrontare in questo momento è lo spreco dovuto a una sovrapproduzione che ha portato i marchi a incenerire milioni di euro di scorte invendute. Uno spreco che lascia intuire come sempre più spesso domanda e offerta non siano allineate, o meglio, come sia sempre più difficile per le aziende del fashion individuare trend e personalizzazioni. La pandemia ha aggravato il problema poiché la chiusura dei negozi ha lasciato molte aziende con montagne di vestiti invenduti.

L’azienda di tecnologia Unmade ha pensato a una soluzione: invece di indovinare cosa vogliono i consumatori, collega direttamente la domanda con la produzione. Il suo software consente di personalizzare e ridisegnare l’abbigliamento e di inviare i progetti direttamente alle fabbriche. Il risultato è la realizzazione su richiesta in lotti più piccoli. L’azienda ha già collaborato con grandi marchi, tra cui New Balance, per produrre calzature in maglia personalizzate.

Dalla soluzione per personalizzare a quella per mettere a fattor comune le idee per condividere il successo. Nasce così Away To Mars, una piattaforma che permette agli utenti di disegnare abiti in un processo collaborativo in cui le persone condividono feedback e votano se creare un particolare capo di abbigliamento. Grazie a questo sistema è stata co-creata la prima collezione da più di 400 persone. Tutti coloro che contribuiscono al design si prendono una fetta delle vendite. Co-creare la collezione è un modo per avere maggiori possibilità di vendere.

Ma anche quando i vestiti vengono venduti, un altro problema si pone nel momento in cui l’indumento smette di essere indossato e arriva alla fine del suo ciclo di vita. Le fibre sintetiche come il poliestere, prodotte con combustibili fossili, costituiscono più del 60% del materiale utilizzato per l’abbigliamento. In questo caso il riciclaggio chimico può offrire una risposta scomponendo la plastica nelle sue molecole originali per creare plastica riciclata di alta qualità. La tecnologia è complessa e costosa, ma diverse aziende stanno lavorando per perfezionarla.

Una tra queste è Worn Again Technologies, con sede a Londra, che annovera la catena di abbigliamento H&M tra i suoi investitori. L’azienda ha sviluppato una tecnologia per separare e decontaminare il poliestere e la cellulosa nei vestiti non più utilizzati che possono quindi essere trasformati in nuovi materiali continuamente riciclati e utilizzati nei tessuti.

Un’altra alternativa è quella pensata da Evrnu, con sede a Seattle, che ha creato un sistema per fondere insieme i vestiti scartati per ricostruirli in nuovi materiali. L’impresa ha collaborato con Adidas by Stella McCartney per produrre una felpa con cappuccio realizzata utilizzando le sue fibre “NuCycl” che possono essere rielaborate in nuovi vestiti una volta che la felpa raggiunge la fine del suo ciclo di vita. Gli esperti in riciclo di Evrnu affermano che dovrebbe essere possibile riciclare le fibre fino a cinque volte senza perdere qualità. 

 

Affinché la moda imbocchi un percorso compatibile con la limitazione del riscaldamento a 1,5°C, saranno necessari diversi step. In primis a livello legislativo con l’utilizzo delle quote di carbonio, ma sarà indispensabile anche il supporto delle energie rinnovabili, insieme a un enorme cambiamento culturale che spinga verso un modello di consumo più responsabile.

Il lasso di tempo per l’azione è stretto e gli impatti della crisi climatica stanno peggiorando ma la volontà di cambiamento è sostenuta dalla portata dell’innovazione tecnologica.  

 

 

 

Iscrizione al Registro della Stampa presso il Tribunale di Napoli n. 7108/2021

Mail: info@thebioneer.it

Fax: 081-7445122

 
Rivista con Comitato di Lettura




About

The Bioneer è un progetto editoriale multicanale che favorisce la diffusione delle conoscenze volte a tutelare l'ambiente e promuovere il cambio di paradigma culturale ed energetico.

The Bioneer nasce in seno ad Anbea, Albo nazionale dei Bioneers dell'energia e dell'ambiente.




Direttore responsabile:

Luca Papperini
luca.papperini@anbea.org

Concessionaria pubblicità: Leonardo SRL
commerciale.leonardo@anbea.org


Caporedattrice:
Tatiana Arini

Progettazione web:
Luciano Fantini

Grafica:
Vittorio Bongiorno