Negli Oceani la chiave di un futuro senza carbonio

I dati Eurostat elaborati dalla Commissione Europea parlano chiaro: la blue economy distribuisce ricchezza e al tempo stesso tutela l’integrità degli oceani e dell’intero Pianeta. Nel settore lavorano almeno 4,5 milioni di persone nella sola Europa, dove il comparto genera ben 650 miliardi di euro di fatturato e 176 miliardi di euro di valore aggiunto lordo, con un utile lordo di 68 miliardi di euro. L’Italia, ancorata storicamente al turismo costiero, offre occupazione a oltre 390mila persone nei lavori relazionati con l’universo marino producendo un gettito di circa 19,7 miliardi di euro di valore aggiunto al Pil nazionale.



Un mare di rinnovabili per abbattere la CO2 

Gli oceani potrebbero offrire più risposte di quante crediamo al problema del riscaldamento globale e alla nuova economia delle rinnovabili. Sulla Terra i mari rappresentano la maggior fonte di assorbimento della CO2, oggi causa di un innalzamento anomalo dei livelli di acidificazione delle acque, e offrono al contempo spazi immensi per collocare impianti offshore di nuova generazione per la produzione di energia pulita da installazioni flottanti. Questo nuovo scenario permetterà un incremento vertiginoso nella produzione di energia elettrica a zero emissioni e spingerà verso la produzione di idrogeno rinnovabile per un futuro decarbonizzato. Nella blue economy di domani saranno le tecnologie rinnovabili a dominare gli oceani con elettrolizzatori flottanti in mezzo al mare da cui nasceranno vere e proprie hydrogen valley galleggianti.

L’economia blu offre oggi un enorme ventaglio di soluzioni per ridurre le emissioni climalteranti, si pensi che da solo l’oceano è in grado di mitigare più del 90% dell’effetto serra attraverso l’assorbimento di energia dalla sua superficie.
L’energia rinnovabile oceanica può svolgere un ruolo importante nella transizione del sistema energetico globale verso il futuro, tuttavia c’è ancora tanto lavoro da fare per garantire che le risorse energetiche green possano essere progettate e installate in modo tale da non minare ulteriormente la salute e la resilienza del mare.
Le torri di sostegno dell’80% degli aerogeneratori offshore si trovano in acque a oltre 60 metri di profondità, poggiate su strutture a “fondo fisso” che, nella maggior parte dei casi, determinano costi operativi molto elevati. La nuova tecnologia galleggiante in mare aperto consente invece di costruire e installare le piattaforme praticamente dappertutto, rispettando l’ambiente e la vita marina e per di più – a causa della maggior distanza dalle coste – offrendo un rendimento più efficiente. 
All’energia rinnovabile marina l’Unione europea ha già dedicato una vera e propria strategia di sviluppo, che dovrebbe portare ad un aumento della capacità eolica offshore da 12 GW a 300 GW entro il 2050. Si tratta di una cifra spaventosa che rivela il suo potenziale rivoluzionario solo se si fanno due conti. Partendo dalle proiezioni sulla riduzione di gas serra nei 25 anni di vita utile di una centrale eolica di medie dimensioni, con una produzione annua di circa 84 GWh, secondo misurazioni della Renvico Italy, si potrebbero risparmiare oltre 1.014.300 tonnellate di CO2 (anidride carbonica); oltre 2.940 tonnellate di SO2 (anidride solforosa); oltre 3.990  tonnellate di NOx (ossidi di azoto).

 

 

Sfruttare il potenziale energetico del mare pone obiettivi sfidanti raggiungibili solo grazie a importanti investimenti provenienti dal settore pubblico e privato. Già dal 2019, per esempio, la Banca Europea degli Investimenti ha approvato una nuova politica sui prestiti energetici confermando la sua ambizione ad accelerare ulteriormente l’innovazione in energia pulita, efficienza energetica ed energie rinnovabili. Ha così cofinanziato un terzo di tutti i siti offshore di produzione eolica in Europa, dove ha investito in ben 33 progetti in Belgio, Danimarca, Germania, Francia, Paesi Bassi e Portogallo, per un totale di 7,5 miliardi di euro.  
L’adozione di tecnologie eoliche offshore galleggianti renderà possibile usufruire di tecniche di riduzione dei costi impiegati nel settore petrolifero e del gas garantendo significative flessioni del costo dell’energia per i consumatori. Lo sviluppo delle tecnologie eoliche galleggianti consentirà l’accesso all’energia eolica offshore in aree oceaniche in cui il tradizionale “fondo fisso” non è praticabile, soprattutto per salvaguardare da dissesti idrogeologici l’ambiente marino protetto. I sedimenti dei fondali infatti rappresentano un ecosistema fragile ma necessario grazie alla loro capacità di immagazzinare più carbonio delle torbiere. Gli habitat dei fondali oceanici sono depuratori d’acqua efficaci, che aiutano a filtrare i nutrienti in eccesso e sedimenti che minacciano l’acqua e la salute dell’ecosistema. 


Tutelare gli oceani per assorbire più emissioni

Il ruolo chiave degli oceani nella transizione ecologica non dipende solo da quanta capacità energetica green saremo in grado di generare dai parchi offshore galleggianti, ma dal ruolo che l’ecosistema blu offre come alleato naturale contro il cambio climatico. Gli habitat sottomarini infatti registrano tassi di sequestro del carbonio per ettaro fino a 10 volte più alti di quelli degli ecosistemi terrestri. La loro tutela risulta inderogabile.

Un recente rapporto sulla Sicurezza della Terra (Earth Security report) riportato dal WWF ha esaminato i costi per ripristinare le foreste di mangrovie distrutte dall’attività umana o dall’alto livello di acidificazione delle acque, calcolando che sarebbero necessari 11,1 miliardi di dollari in un periodo di 20 anni, ma che questa ripopolazione consentirebbe la cattura di 380 milioni di tonnellate di CO2 da qui al 2040. Si stima che il restauro delle mangrovie – capaci di immagazzinare 3-5 volte più carbonio di quello assorbito dalle foreste pluviali – avrebbe un effetto anche di rimbalzo sulle conseguenze del cambiamento climatico e potrebbe far risparmiare circa 65 miliardi di dollari all’anno in danni da tempesta e alluvione.

Secondo quanto emerge dallo studio del WWF “Blueprint for a living planet” anche le alghe giocano un ruolo chiave nella corsa alla riduzione della CO2, potendo seppellire una quantità di carbonio per ettaro in modo più efficace delle foreste pluviali tropicali, e fornendo al tempo stesso habitat a un quinto del mondo oceanico e vivai per le principali attività di pesca. Quasi l’80% delle catture globali di pesce dipendono direttamente o indirettamente dalla preservazione delle foreste subacquee. Inoltre, gli ecosistemi come mangrovie e barriere coralline forniscono protezione dagli effetti di cambiamento climatico attenuando l’energia del moto ondoso e le mareggiate, stabilizzando le coste dall’erosione. 

 


I servizi ecosistemici associati alle mangrovie in tutto il mondo ammontano a un valore economico stimato di almeno 1,6 miliardi di dollari all’anno.
Le foreste di mangrovie nel mondo sono concentrate in 750 regioni intorno alla fascia tropicale e subtropicale del pianeta. Di queste, solo 40 località rappresentano quasi il 70% delle mangrovie ancora vive che immagazzinano circa 3 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno.
Mentre ci sono dati certi sulla quantità di carbonio immagazzinata dagli ecosistemi delle coste c’è una notevole incertezza scientifica nella quantificazione delle emissioni di carbonio provenienti dai sedimenti marini sommersi. Tuttavia, le prove scientifiche confermano che attività di disturbo del sedimento (ad esempio con attrezzi da pesca e attraverso l’estrazione dai fondali marini) possono portare all’alterazione biologica del naturale ciclo che conduce al sequestro del carbonio e al suo deposito. Questi cambiamenti concorrono a ridurre la capacità degli ecosistemi marini di sequestrare e immagazzinare CO2.


Il mare come sistema socio-ecologico

La strada verso le buone pratiche per un oceano sostenibile deve mettere al centro l’uomo e la sua conoscenza del mondo marino. In questo scenario l’integrazione di tradizioni locali, saperi indigeni e di sistemi di conoscenza scientifica è un elemento abilitatore di consapevolezza e comprensione dei rischi. È per questa ragione fondamentale garantire i diritti e la governance delle comunità costiere che hanno effettivamente sostenuto con le loro culture la preservazione degli ambienti marini.
Dovremmo iniziare a vedere l’oceano come un sistema socio-ecologico, retto da principi di equità, inclusività e trasparenza con l’obiettivo di offrire i benefici dalle risorse oceaniche a tutti coloro che mettono a disposizione le loro conoscenze ancestrali per proteggere il mare.
Investendo nel recupero e nella protezione degli oceani, dei loro ecosistemi e della loro biodiversità, e attraverso una migliore gestione delle loro risorse, possiamo rafforzare la resilienza degli ambienti marini, le comunità che da esso dipendono e le nostre capacità per rispondere ai cambiamenti climatici. 
Data l’importanza della salute degli oceani per il benessere del Pianeta e alla capacità dell’umanità di rispondere ai cambiamenti climatici, la relazione oceano-clima deve essere centrale nelle discussioni per creare le soluzioni che consentiranno alle persone e alla natura di prosperare. 


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