Allarme CO2, previsioni preoccupanti. “Siamo fuori strada”

La crescita costante delle concentrazioni di CO2 ha portato a una situazione critica. Il tema non è più salvare il clima o il Pianeta — che sopravvivrà anche senza di noi — ma salvare la vita umana e non umana sulla Terra. Dati e ricerche alla mano è tutto in nostro sfavore, con buona pace del New Green Deal e degli obiettivi climatici dell’Agenda 2030.

 

Se non saremo in grado di invertire la rotta, tra 10 anni è previsto un aumento del 16% della CO2 rispetto al 2010 secondo un’analisi della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.
Sulla carta a questo aumento dovrebbe invece corrispondere per allora una diminuzione del 45% per arrivare a frenare il riscaldamento globale abbastanza da limitare a 1,5ºC l’aumento delle temperature. Insomma, siamo fuori strada e, proprio questo clima da catastrofe sembra essere lo scenario perfetto per affrontare i colloqui della COP26 in Scozia.

Un rapporto dell’Organizzazione meteorologica mondiale delle Nazioni Unite (OMM) ha mostrato che i livelli di anidride carbonica sono saliti a 413,2 parti per milione nel 2020, aumentando più del tasso medio nell’ultimo decennio nonostante un calo temporaneo delle emissioni durante i blocchi imposti dal Covid.
Il segretario generale dell’OMM, Petteri Taalas, ha affermato che l’attuale tasso di aumento dei gas che intrappolano il calore comporterebbe aumenti di temperatura “molto superiori” all’obiettivo dell’accordo di Parigi del 2015 di 1,5 gradi al di sopra della media preindustriale di questo secolo.
«Siamo molto fuori strada», ha detto.  «Dobbiamo rivisitare i nostri sistemi industriali, energetici e di trasporto e l’intero stile di vita», ha aggiunto, chiedendo un aumento degli impegni alla conferenza COP26, iniziata domenica 31 novembre a Glasgow, e che potrebbero essere davvero una delle ultimissime possibilità rimaste per limitare il riscaldamento globale al limite di 1,5-2 gradi stabilito nell’accordo di Parigi.
«Il superamento degli obiettivi di temperatura porterà a un mondo destabilizzato e a sofferenze infinite, specialmente tra coloro che hanno contribuito meno alle emissioni di gas serra nell’atmosfera», ha affermato Patricia Espinosa, segretaria esecutiva della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. «Siamo lontani da dove la scienza dice che dovremmo essere», ha detto Espinosa.

Alok Sharma, presidente della COP26, ha affermato che le nazioni sviluppate dovranno rispettare l’impegno di destinare un totale di 500 miliardi di dollari per aiutare i paesi più in difficoltà ad affrontare il cambiamento climatico, onorando così la promessa fatta nel 2009 di iniettare liquidità con un fondo da 100 miliardi di dollari all’anno per cinque anni, a partire dal 2020. Sul come farlo però emergono dubbi di esecuzione: da un piano preparato da Canada e Germania prima del vertice, si ha evidenza che l’obiettivo annuale non potrà essere raggiunto fino al 2023.
La posta in gioco per il pianeta è enorme, tra cui la sopravvivenza stessa delle comunità costiere, l’impatto sui mezzi di sussistenza economici in tutto il mondo e la futura stabilità del sistema finanziario globale.

Un sondaggio degli economisti di Reuters ha rilevato che raggiungere l’obiettivo di Parigi di azzerare le emissioni di carbonio richiederà investimenti in una transizione verde pari al 2%-3% della produzione mondiale ogni anno fino al 2050. Un piccolo sforzo che supporrebbe molto meno del costo economico dell’inazione. Si parla di cifre “irrisorie” se paragonate ai 10,8 mila miliardi di dollari che dal gennaio 2020 i governi hanno speso (ovvero il 10,2% della produzione globale) in risposta alla pandemia.
Dalle proiezioni degli analisti si confermerebbe che a un aumento della temperatura di 1,6 °C, 2,4 °C e 4,4 °C entro il 2030, 2050 e 2100 rispettivamente comporterebbe una perdita di produzione del 2,4% entro il 2030, del 10% entro il 2050 e del 18% entro il 2100.
Le emissioni di gas serra stanno provocando catastrofi climatiche in tutto il pianeta. Non abbiamo tempo. È già tardi e se non ci uniamo all’azione contro ciò che sta accadendo, non avremo tempo per salvare ciò che è rimasto.


Gli scenari

Secondo un commento riportato sulla pagina dell’Ispi a firma di Gianfranco Pacchioni — chimico e accademico italiano, attivo nel campo della chimica teorica e computazionale — Oggi i combustibili fossili, la causa principale del riscaldamento globale, producono l’80% della nostra energia e l’86% di tutte le emissioni antropiche di CO2, oltre 35 miliardi di tonnellate ogni anno (il resto, circa 5,5 miliardi di tonnellate, è dovuto al consumo di suolo). «Se con azioni drastiche riusciremo ad arrivare a emissioni zero di CO2 entro il 2050, la temperatura media del Pianeta a fine secolo aumenterà comunque di 1.0 °C; con azioni forti l’aumento di CO2 sarà contenuto in 540 ppm, e la temperatura salirà di 1,5-1,8 °C; con azioni blande potremo arrivare a 670 ppm con un aumento di 2,2 °C, mentre se non facciamo nulla raggiungeremo 1000 ppm con un aumento di temperatura media di 4°C. Catastrofico» sostiene Pacchioni. Ed è bene sapere che un terzo della CO2 prodotta oggi sarà ancora in atmosfera tra 100 anni, un quinto tra 1000 anni e una parte la troveremo ancora dopo 10.000 anni. Inoltre la CO2 disciolta in acqua produce un aumento di acidità e già sono stati osservati effetti molto negativi su una parte della fauna e flora acquatiche.

Le tempistiche di chiusura del ciclo della CO2 non sono l’unico problema da gestire. Nel nostro modello di consumo infatti la produzione di molti dei beni che utilizziamo, dalle fibre sintetiche ai farmaci, dai fertilizzanti alle materie plastiche, si basa su processi che partono dal petrolio e dai suoi derivati e producono inevitabilmente CO2. «Quindi, azzerare le emissioni di CO2 è di fatto impossibile — sostiene Pacchioni — Potremo ridurle fortemente, ma non andare a zero». Quando si parla di “saldo zero” si intende appunto quel punto di pareggio, auspicabile per il 2050, in cui le emissioni saranno uguali alla quantità di CO2 catturata e riciclata.


Una soluzione per l’abbattimento della CO2: gli e-fuels

Se fino ad ora gli sforzi sostenuti per diminuire le emissioni di anidride carbonica non si sono rivelati da soli sufficienti a contenere la costante crescita delle concentrazioni nell’atmosfera, l’unica altra alternativa possibile per abbattere le emissioni verso uno scenario di “saldo zero” è l’impiego della CO2 nella sintesi di materiali o carburanti di nuova generazione.

Il fabbisogno di combustibili a impatto zero, a base di carbonio, comporta una richiesta significativa di CO2 sostenibile; ogni anno saranno necessari 6.000 Mt di CO2 come materia prima. Le attuali fonti biogeniche e i flussi di emissione esistenti, provenienti da inceneritori di rifiuti, industria cartaria e cementifici, non potranno soddisfare la crescente domanda. Perciò l’unica opzione sostenibile ed economica a lungo termine sarà quella di catturare la CO2 direttamente dell’aria, creando un ciclo chiuso che la recuperi durante l’utilizzo dei carburanti.
Le tecnologie Power-to-X, alla base del processo di sintesi degli electronic fuels, giocheranno un ruolo sempre maggiore nella sostituzione dei combustibili fossili. Soprattutto nei settori di difficile elettrificazione come l’aviazione, il trasporto marittimo e i processi industriali specifici. A sostenerlo è lo studio della Lappeenranta-Lahti University of Technology (LUT), commissionato dalla Global Alliance Powerfuels, associazione fondata dall’Agenzia tedesca per l’energia.

Un esempio di produzione di combustibili sintetici attraverso la tecnologia Power-to-X è la soluzione messa a punto da Wärtsilä in collaborazione con Solteir Power. Ideata per offrire un futuro sostenibile a energia rinnovabile per il settore marittimo — anche quando il sole non splende o il vento non soffia per giorni o settimane — questa complessa macchina è capace di catturare la CO2 dall’atmosfera, al tempo stesso produrre idrogeno attraverso il processo elettrolitico (impiegando elettricità da fonti rinnovabili) e combinare questo idrogeno verde con la CO2 catturata per sintetizzare metano.

https://youtu.be/5oYAgZfAhSc


Per il 2050 viene prefigurato un mondo alimentato interamente da fonti energetiche rinnovabili. In questo scenario gli e-fuels diventeranno la fonte energetica più importante. A seconda del tipo di applicazione, si ipotizza che un’ampia gamma di combustibili dalle proprietà specifiche, tra cui idrogeno, gas sintetico (ad esempio metano, propano), nonché combustibili liquidi sintetici e prodotti chimici (metanolo, diesel, benzina, cherosene, ammoniaca), si affermeranno nel mercato energetico e saranno in grado di soddisfare il 28% della domanda finale di energia raggiungendo 43.200 TWh nel 2050.
L’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, come il solare fotovoltaico o l’eolico, viene utilizzata per il processo di elettrolisi dall’acqua da cui si separa l’idrogeno dall’ossigeno. Grazie all’utilizzo di un catalizzatore questo idrogeno rinnovabile si combina con il monossido di carbonio o con il biossido di carbonio (CO2) o direttamente con l’azoto presente al 70% in atmosfera. Da queste diverse combinazioni si ottengono combustibili sintetici come ammoniaca, metanolo, metano, e altri derivati chimici.

https://www.clariant.com/es/Innovation/Innovation-Spotlight-Videos/Power-to-X


Il riutilizzo della CO2 per la produzione di carburanti sintetici a partire da una base di idrogeno rinnovabile non offre di per sé la soluzione alla chiusura del ciclo del carbonio. Solo nella misura in cui questi carburanti saranno in grado di rimpiazzare le fonti fossili, e quindi di compensarne l’estrazione, si potrà parlare di un saldo netto di emissioni.

 

L’impatto di ognuno di noi sul riscaldamento globale

Fonti fossili e produzione industriale a parte, è evidente che il problema della CO2 non è destinato a risolversi con facilità. La sua soluzione richiede interventi molto complessi che iniziano dai comportamenti responsabili di ognuno di noi.

Partiamo dal quotidiano: in un percorso di 150 km circa un’auto diesel emette 30 chili di anidride carbonica. Nel corso del suo intero ciclo di vita, la stessa auto avrà emesso 32 tonnellate di CO2. Noi stessi, con la respirazione emettiamo ogni giorno un chilo di CO2, il che equivale a 2,5 miliardi di tonnellate emesse dall’intera popolazione del Pianeta ogni anno. Se a questi numeri aggiungiamo quelli delle emissioni per il riscaldamento in ambito residenziale, ci accorgiamo che forse non vi è ancora una sensibilizzazione adeguata su un tema che è diventato il centro del dibattito internazionale.

Ad oggi però esistono almeno una ventina di soluzioni concrete, scalabili e accessibili sul piano finanziario per ridurre le emissioni di CO2, soluzioni alla portata di tutti noi che includono fra le altre: l’energia da nuove fonti rinnovabili, la riduzione nell’utilizzo di aria condizionata, un nuovo concetto di industria alimentare, la gestione delle terre. 

Da un’analisi rapida di questo scenario si ha evidenza di come l’implementazione di nuove tecnologie per la produzione di elettricità rinnovabile rappresenti solo una quarta parte di queste soluzioni. Strano ma vero, anche il nostro rapporto con il consumo di cibo può determinare in modo impattante cambiamenti significativi sulla riduzione dell’anidride carbonica. A confermarlo è uno progetto di riduzione della CO2 promosso da Chad Frischmann, il ricercatore capo e il principale architetto della metodologia e dei modelli alla base di Project Drawdown. In collaborazione con un team globale di ricercatori, Frischmann ha progettato modelli globali integrati per valutare le soluzioni climatiche più efficaci al mondo e determinare se, quando e come il mondo può raggiungere il “drawdown”, quel momento in cui la concentrazione di gas serra atmosferici inizia a diminuire di anno in anno.

Secondo questo modello predittivo, un differente rapporto con il cibo che produciamo, acquistiamo e consumiamo può determinare da qui a 30 anni una riduzione di 66 miliardi di tonnellate di CO2, favorendo per esempio una dieta ricca di frutta e vegetali. Ma non solo, perché anche limitando lo spreco alimentare potremmo ridurre le emissioni di 70,5 miliardi di tonnellate. Sono numeri che forse sorprendono, ma che offrono la misura dell’impatto che ognuno di noi può avere sul clima. Altro tema di rilevanza è la gestione che facciamo delle terre. Proteggere le foreste tropicali e le zone umide con l’obiettivo di permettere una loro rigenerazione naturale nelle aree maggiormente degradate consentirebbe di assorbire 61,2 miliardi di tonnellate di CO2 in più attraverso il processo di fotosintesi.

 www.drawdown.org

 


Cambiare il nostro comportamento e invertire la rotta grazie all’innovazione diventa fondamentale per vincere la sfida della neutralità climatica: il nostro dovere — come sostiene Bill Gates — è sviluppare tecnologie e renderle economicamente accessibili anche ai paesi più svantaggiati, offrendo loro l’opportunità di prendere parte a questa battaglia contro il cambio climatico. In questo sviluppo tecnologico si rivela necessaria una collaborazione pubblico-privato in grado di orientare le scelte e i capitali di domani verso soluzioni altamente innovative frutto di questa partnership. Nel frattempo tutti possiamo dare il nostro contributo iniziando a lavorare sul fondo del processo per contenere le emissioni di CO2 attraverso la razionalizzazione e l’ottimizzazione dei consumi. Per intervenire al principio del processo invece è necessario iniziare a fare scelte responsabili rivolgendosi a quegli operatori del mercato energetico che certificano l’origine rinnovabile della fornitura elettrica.





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