Global Reporting Initiative: viaggio al centro della sostenibilità

Nel 2019 la European Court of Auditors definì il reporting di sostenibilità “la pratica di misurare, divulgare e rendere conto agli stakeholder interni ed esterni delle performance organizzative verso l’obiettivo dello sviluppo sostenibile; la rendicontazione di come un’organizzazione considera le questioni di sostenibilità durante l’esecuzione delle sue operazioni e dei suoi impatti ambientali, sociali ed economici. Un report di sostenibilità presenta anche i valori e il modello di governance dell’organizzazione e dimostra il legame tra la sua strategia e il suo impegno per un’economia globale sostenibile”.

 

Intervista a Carina Luchini, consulente GRI presso Coop Agenda 2030 di Bolzano

 

Fino a qualche anno fa sarebbe stato impensabile anteporre al business una forma di monitoraggio sull’operato delle organizzazioni che sfuggisse alle logiche del profitto tout-court. Lontani ancora da questo traguardo storico è stato nel frattempo imposto alle aziende di rendere conto del proprio operato anche fuori dal perimetro del conto economico. Una svolta decisiva sul piano normativo si è avuta con l’entrata in vigore della Direttiva europea 2014/95/Ue che obbliga gli enti di interesse pubblico a comunicare le proprie performance ambientali e sociali.  Secondo tale provvedimento, le imprese elencate nel D.Lgs 39/2010 che, per visibilità e importanza economica, sono soggette a specifiche forme di revisione legale – fra le altre, le società quotate in borsa, le banche, le imprese di assicurazione, gli intermediari finanziari – con un numero di dipendenti superiore a 500 e un totale dello stato patrimoniale superiore a 20 milioni di euro o ricavi di almeno 40 milioni di euro, sono tenute a redigere la dichiarazione non finanziaria, soggetta a verifica da parte di un soggetto autorizzato ad effettuare la  revisione  legale  del bilancio. Lo scorso 21 aprile 2021 però la Commissione europea ha presentato una nuova proposta di direttiva sul reporting di sostenibilità chiamata “Corporate Sustainability Reporting Directive” che estende l’obbligo di rendicontazione a partire dal 1° gennaio 2023 a tutte le categorie di impresa, a eccezione delle Pmi, per le quali entrerà in vigore dal 1° gennaio 2026. 

L’applicazione della “Corporate Sustainability Reporting Directive” di fatto punta a dimezzare il parametro sul numero minimo di dipendenti portandolo a 250, lasciando inalterato però l’obbligo per quelle società che superino uno dei due criteri finanziari sopra richiamati ed estendendo l’obbligatorietà a tutte le società quotate in mercati regolamentati – comprese le Pmi quotate – ad esclusione delle “micro imprese” quotate. Oltre alla direttiva europea 2014/95/UE, sono diverse le spinte esterne che hanno portato progressivamente ad accrescere la richiesta di performance di sostenibilità nei confronti delle imprese. Tra le iniziative principali, quella di maggior rilievo è senza dubbio l’accordo di New York del 2015 che ha portato alla definizione da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite della famigerata Agenda 2030 che individua 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals – SDGs) da tenere a riferimento all’interno di in un grande programma d’azione composto da un totale di 169 target o traguardi. 

  

 

Il Global Reporting Initiative

Gli standard per la rendicontazione di sostenibilità definiti dal Global Reporting Initiative (GRI) sono il principale riferimento adottato dalle imprese. Nata a Boston nel 1997 a seguito dello scandalo Exxon, GRI è un’organizzazione multi-stakeholder con sede ad Amsterdam nata allo scopo di ideare, promuovere e diffondere linee guida di generale adesione per la rendicontazione delle performance economiche, ambientali e sociali. 

Il GRI nasce in seno alle Nazioni Unite, inizialmente con l’obiettivo di monitoraggio sulle questioni ambientali e in seguito sulla sostenibilità a tutto tondo. Il suo sviluppo è continuo. Uno dei suoi punti di forza è il dibattito e il confronto permanente con i suoi gruppi di interesse su diversi focus tematici che vengono trattati in maniera sistematica: dal tema delle terre rare a quello dei rifiuti, per esempio.  Secondo il GRI, attraverso il reporting “un’organizzazione può comprendere e gestire meglio i propri impatti sulle persone e sul pianeta. Può identificare e ridurre i rischi, cogliere nuove opportunità e agire per diventare un’organizzazione responsabile e affidabile in un mondo più sostenibile”. 

Il modello fornito dal GRI rappresenta un passo fondamentale, riconosciuto a livello internazionale, verso la comparabilità delle informazioni e delle performance rendicontate e la definizione di un linguaggio comune per integrare i temi di sostenibilità nelle strategie aziendali. 

«Le imprese possono trovare oggi nel tema della sostenibilità un valore che si spinge molto più in là di un semplice interesse filantropico – spiega a The Bioneer Carina Luchini, consulente di Coop Agenda 2030, esperta nella normativa internazionale GRI – è una pratica che si relaziona con gli interventi contro il cambio climatico e a supporto dello sviluppo sociale all’interno di una logica economica circolare. Tale visione prospettica aiuta le aziende non solo a mantenere il valore filantropico delle loro pratiche di sostenibilità ma anche a ridurre i costi di produzione aumentando la competitività, obiettivo principale di ogni organizzazione». 

Di sostenibilità oggi non parla solo la grande realtà multinazionale ma anche la piccola e media impresa, anch’essa chiamata a rendere conto del proprio impatto sociale, economico e ambientale. Tutte ne hanno uno. Una piccola impresa locale che si occupa dello smaltimento di pneumatici, per esempio, avrà un impatto ambientale considerevolmente più alto di una società di consulenza internazionale. Il tema è diventato talmente trasversale ai business di ogni genere e dimensione che ormai in tutte le Borse del mondo gli indici di sostenibilità sono al centro del dibattito finanziario sui meriti creditizi.

 

L’importanza della trasparenza  

Un buon bilancio di sostenibilità deve essere redatto adottando come linea guida il “principio dell'equilibrio”, ciò significa che ogni azienda è tenuta a raccontare sia gli impatti positivi sia quelli negativi, in modo tale da risultare credibile.  

Secondo la filosofia GRI, accettare questo compromesso abilita un nuovo livello di comunicazione con gli stakeholder dinanzi ai quali l’impresa si impegna con progetti innovativi per mitigare il suo impatto. «Nessuno crederebbe trasparente un bilancio dove non si faccia menzione degli impatti negativi – dice Carina Luchini –  La forma migliore per farlo è presentare un programma che definisca a corto, medio o lungo termine gli obiettivi per raggiungere lo standard di sostenibilità richiesto e invertire la rotta». 

È fondamentale redigere un bilancio di sostenibilità soprattutto per mostrare ai diversi stakeholder obiettivi e progetti realizzati in un dato periodo di tempo. Lo stakeholder diventa così il motivo principale di interesse perché, dallo strumento del report di sostenibilità, potrebbe dipendere o meno una decisione strategica di partnership. 

La sostenibilità non rappresenta solo una questione ecologica. Dietro ai meccanismi virtuosi di tutela dell'impatto ambientale un’impresa non può diventare sostenibile se non rispetta il tema della parità di genere, della tutela del lavoro minorile e se non offre una vita dignitosa ai suoi lavoratori o alle persone che vivono nel territorio in cui opera. Le manovre di monitoraggio e misura su questi aspetti sociali della sostenibilità risultano più agili nello scenario di trasparenza di una grande azienda ma le cose si complicano quando si entra nell’universo pluriframmentato della supply chain. Da non molto tempo infatti il GRI si sta adoperando per mettere l’accento anche sulla sostenibilità dell’intera catena di fornitura, un tema spinoso che vede al centro dell’inchiesta la piccola impresa, spesso in cerca di scorciatoie poco sostenibili pur di aumentare la redditività nel breve periodo. 

Anche dal punto di vista finanziario si stanno sviluppando dinamiche del tutto innovative per l’erogazione di meriti creditizi alle aziende più sostenibili che, a loro volta consegnano alla banca interessi in misura proporzionale a quanta sostenibilità sono riuscite a creare.

  

 

Dove inizia un percorso virtuoso  

Su ciò che non si misura non si può intervenire. Il primo passo è effettuare una diagnosi sul posizionamento dell’impresa in relazione alle questioni ambientali, sociali e di governance. Una volta stabilito il punto di partenza è possibile disegnare una roadmap per la sostenibilità. In questo scenario, la rendicontazione non finanziaria genera informazioni utili agli stakeholder e, al tempo stesso, uno strumento di gestione per l’organizzazione.  

Gli obiettivi di sostenibilità non sono uguali per tutte le imprese. «Ogni azienda, in relazione al numero di dipendenti, al fatturato e alla cultura organizzativa, stabilisce delle mete che devono essere credibili e che si possano raggiungere nel giro di uno o più anni – commenta Carina Luchini – Credo sia questo l’aspetto più affascinante; ogni bilancio sarà diverso da un altro perché non esistono due organizzazioni uguali». 

 

Gli standard GRI 

Le metriche stabilite dal GRI per misurare le performance di sostenibilità sono costituite da tre standard di carattere generale (Universal Standard) applicabili a tutte le organizzazioni e 35 standard specifici (Topic Specific Standard) per analizzare nel dettaglio le dimensioni fondamentali della sostenibilità, economica, sociale e ambientale. 

Gli Standard GRI rappresentano un modello flessibile e modulabile: le organizzazioni possono scegliere di utilizzare il modello completo o anche solo le tematiche rilevanti emerse dalla propria analisi di materialità. 

Il punto di partenza è il GRI 101 (Foundation), che permette di inquadrare e spiegare come viene usato e regolato il set di parametri. Il GRI 101 introduce i 10 principi fondamentali di tale set e spiega come preparare un rapporto coerente. 

Il GRI 102 (General disclosures) serve a riportare informazioni di contesto relative all’organizzazione e le sue pratiche di rendicontazione. 

Il GRI 103 (Management approach) è invece utile per spiegare la gestione di quegli aspetti della propria attività che hanno un impatto più importante sugli stakeholder. 

Applicando i principi e le linee guida del GRI 101 è possibile identificare gli aspetti specifici della propria attività che hanno impatti più significativi – in senso sia positivo sia negativo – sugli stakeholder. In questo modo è possibile individuare e applicare standard ad hoc, selezionandoli fra quelli elencati nelle serie di standard specifici per settore.

Gli standard GRI 200 sono quelli relativi alla dimensione economico-finanziaria. Questa riguarda gli impatti sulle condizioni economiche dei propri stakeholder e sui sistemi economici a livello locale, nazionale e globale. Gli indicatori di questi standard descrivono il flusso di capitale tra i vari stakeholder, i principali impatti economici dell’organizzazione sulla società e la distribuzione del valore.

Gli standard GRI 300 sono quelli relativi alla dimensione ambientale, che si riferisce all’impatto di un’organizzazione sui sistemi naturali viventi e non viventi, compresi ecosistema, terra, aria e acqua. Gli indicatori ambientali descrivono le performance relative a: input (materie prime, energia, acqua), output (emissioni, scarichi, rifiuti), biodiversità, rispetto di norme e regolamenti in materia ambientale, investimenti in ambito ambientale, impatto di prodotti e servizi. 

Gli standard GRI 400 sono quelli relativi alla dimensione sociale dell’impresa, il riflesso cioè degli impatti dell’organizzazione sui sistemi sociali in cui essa opera. Gli indicatori di “Performance sociale” del GRI identificano aspetti chiave relativi a: pratiche di lavoro, diritti umani, società, responsabilità di prodotto.

 

 

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