Fast fashion: la circolarità dirottata

Ancora una volta montagne di vestiti accumulati in enormi discariche non saranno riutilizzabili, ma verranno bruciati come spazzatura, nonostante siano stati registrati dai marchi come “riciclati”. É questa la grande bugia dell’economia circolare nel settore moda. Capi d’abbigliamento sempre più spesso prodotti con fibre sintetiche sono oggi il grande nemico del fashion e dell’ambiente. Bruciarli significa restituire all’atmosfera inquinanti e CO2 provenienti dall’utilizzo di petrolio per la fabbricazione dei nuovi tessuti del fast fashion. 

 

Alla fine del suo ciclo di vita, quasi il 40% dei 100 miliardi di capi d’abbigliamento prodotti all’anno dall’industria della moda va a finire in discarica, un problema causato per un verso dallo spreco dei consumatori e per l’altro dalla fabbricazione massiva che inonda il mercato. Con un giro d’affari valutato potenzialmente 5mila miliardi di dollari (fonte: Vogue Business), davvero la moda può permettersi di decarbonizzare e risolvere contemporaneamente il problema della sovrapproduzione? 

Per cercare una risposta a questa domanda il regista Andrew Morgan e Livia Firth – all’anagrafe Livia Giuggioli – produttrice cinematografica italiana ed ex moglie dell’attore britannico Colin Firth, hanno svelato le bugie confezionate dall’industria della moda sulla vera circolarità del fashion business.

Con il mini documentario “Fashionscapes: A Circular Economy”, Livia Firth denuncia come la grande opportunità della moda di abbracciare la circolarità e sfuggire a un modello distruttivo di fabbricazione e spreco sia stata minata dal greenwashing e dal petrolio da cui prendono forma le fibre sintetiche. Le aziende stanno utilizzando la moda circolare come strumento di greenwashing per nascondere il modo in cui il riciclaggio dei vestiti potrebbe non funzionare sempre come previsto. E il motivo è che non si possono dichiarare “circolari” e “riciclabili” i vestiti prodotti in grandi serie perché di qualità troppo scadente per essere davvero riciclati.

In una scena del film montagne di vestiti scartati arrivano al mercato di Kantamanto in Ghana. Alcuni vengono riparati e riutilizzati, ma la maggior parte finisce per essere gettata in discarica semplicemente perché troppo usurati per essere riutilizzati o perché presenta troppi elementi di fissaggio, bottoni e cerniere da smontare per un corretto riciclaggio.

 

 

Dopo aver puntato l’attenzione sulle catene di approvvigionamento e i problemi che l’industria della moda deve affrontare oggi, Fashionscapes rivela la trama di una finta economia circolare che domina il settore invece di una transizione verso un'industria più giusta dal punto di vista sociale e ambientale. Nel documentario la giornalista del The Guardian, Lucy Siegle, spiega che l’impatto ambientale della moda ha raggiunto la cifra shock di 100 miliardi di tonnellate di risorse utilizzate per la produzione dei vestiti, un campanello d’allarme che dovrebbe far riflettere su nuovi paradigmi di design più funzionali alla salvaguardia ambientale. 

Gran parte di queste risorse sono impiegate per creare fibre sintetiche ottenute dalla plastica. Ed è proprio qui che iniziano i problemi.

Uno dei più grandi malintesi dell’economia circolare è che la plastica sia riciclabile all’infinito. Declinato sul settore moda questo malinteso ha sdoganato di fatto la crescita delle fibre sintetiche a discapito di quelle naturali. Il film esplora come i consumatori siano spesso disinformati sugli impatti ambientali delle fibre sintetiche, attraverso interviste con esperti come Veronica Bates Kassatly e il lanaiolo australiano, Charles Massy, ​​che rivelano come le affermazioni spesso non siano nemmeno supportate da dati o prove. Consumatori e appassionati dell’universo fashion che, spesso ignari di essere intrappolati in un’economia lineare, diventano complici di un sistema di sovraconsumo guidato da modelli di produzione e linee di moda progettate e prodotte in modo rapido ed economico. In questo modo «L’economia circolare rischia di essere dirottata e la moda potrebbe perdere l’opportunità di cambiare», affermano i creatori di Fashionscapes.  

Forse ci siamo dimenticati uno dei motivi che hanno storicamente fondato le basi dell’industria fashion: la moda è nata per creare bellezza, non per distruggerla.



https://www.fashionscapes.co.uk/films/fashionscapes-circularity



 

 

   

 

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