Lancia di salvataggio

Secondo i dati diffusi dalle Nazioni Unite, negli ultimi 150 anni abbiamo perduto quasi la metà della barriera corallina e durante gli ultimi 40 anni la contaminazione da plastica della superficie marina si è decuplicata. Abbiamo generato livelli così abnormi di CO2 che gli oceani, veri e propri depuratori capaci di assorbire quasi un terzo di quella presente in atmosfera, hanno subito un processo di acidificazione che non ha eguali in milioni di anni.

 

Stiamo pericolosamente giocando con l’equilibrio di un sistema deputato a garantire l’abitabilità del pianeta, mettendo a repentaglio non solo la vita sulla terra ferma ma anche quella del mare, fino a oggi il nostro più prezioso alleato nella lotta contro il surriscaldamento globale: più del 90% dell’effetto serra viene mitigato dall’assorbimento di energia da parte della superficie degli oceani che, aumentando la loro temperatura in maniera anomala, innescano una serie di processi tra di loro interdipendenti e irreversibili come la morte dei coralli e quella dei molluschi. Una ecatombe che vede come primo imputato l’alto livello di acidificazione, causato a sua volta dall’assorbimento di anidride carbonica negli oceani ai suoi massimi storici.

La scienza sta facendo passi da gigante per frenare questi processi, ma si tratta in molti casi di terapie ancora in fase sperimentale come ad esempio l’immissione di soluzioni alcaline in grado di contrastare l’acidificazione grazie all’impiego di idrossido di calcio. 

Gli oceani occupano il 75% della superficie del pianeta Terra e accolgono oltre 200 mila specie viventi fino a oggi conosciute, ma gli esperti stimano che almeno il 91% della vita presente nel mare rimane ancora da identificare. Nonostante quasi il 95% dell’oceano rimanga tuttora inesplorato secondo le stime della NOAA (Amministrazione Nazionale Oceanica e Atmosferica degli Stati Uniti), la plastica ha invece conquistato già gran parte della superficie e del suolo marino.

 

I numeri della vergogna

L’Europa, il secondo maggiore produttore di plastica al mondo dopo la Cina, riversa in mare ogni anno tra le 150 e le 500 mila tonnellate di macroplastiche e tra le 70 e 130 mila tonnellate di microplastiche. 

Da una attenta analisi del fenomeno dei rifiuti plastici condotta dagli esperti delle Nazioni Unite sugli aspetti scientifici della contaminazione marina e contenuta nel report WWF Alessi. et al. 2018, si stima che l’80% di questi provenga da fonti terrestri, plastica non gettata volutamente o accidentalmente in acqua. Dalla terra queste plastiche proseguono il loro viaggio lungo i fiumi e da lì finiscono in mare. Stupisce che solamente il 20% delle macro e micro plastiche provengano da fonti marine, come pesca, acquacoltura e trasporto navale. Il WWF calcola che intanto il disastro  abbia raggiunto dimensioni stratosferiche anche sotto l’aspetto economico: oltre 13 miliardi di dollari l’anno di danni agli ecosistemi marini, incluse anche le perdite dei settori della pesca e del turismo, così come i costi di pulizia delle spiagge. 

 

Catturiamo la plastica quando ancora siamo in tempo: il progetto River Cleaner

“Delle 10 milioni di tonnellate di rifiuti di diversa natura riversati in mare nel mondo circa il 70% è plastica”, dice Lorenzo Lubrano, fondatore di Blu Eco Line, start up impegnata nell’ideazione di soluzioni ecosostenibili per la ricollezione dei rifiuti plastici direttamente dai fiumi.

Una di queste si chiama River Cleaner, si tratta di un impianto completamemte automatizzato che permette di evitare la dispersione in mare e la successiva trasformazione in microplastiche dei rifiuti. “Così è possibile ottenere risultati migliori perché le operazioni per la raccolta della plastica si possono concentrare su un’area ridotta. Abbiamo collaborato quest’anno con l’Unesco ed E.ON per mettere a punto il primo impianto pilota” spiega Lubrano. 

Questo impianto innovativo permette di integrare la gestione dei rifiuti nella regolazione del processo di indirizzamento allo smaltimento grazie a un sofisticato sistema di riconoscimento che si serve di un occhio robotico guidato da intelligenza artificiale.

 

Sistemi per il trattamento delle acque reflue

La plastica non rappresenta l’unica criticità per centrare gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Al numero 14 troviamo la difesa della vita sottomarina, un obiettivo che mette il focus sull’importanza della conservazione della biodiversità per la cui difesa si dimostra fondamentale mantenere stabili le condizioni di temperatura o la composizione chimica degli oceani. La sfida per il 2025 sarà ridurre l’inquinamento delle acque, incluse quelle residuali generate dall’attività terrestre.

In questa sfida un ruolo da protagonista lo giocheranno le fabbriche e le grandi città, che avranno l’obbligo di attrezzarsi per trattare di contenere gli agenti inquinanti e, al tempo stesso, separare la materia organica solida per trasformarla in nuova energia.

“Da questo processo – spiega Gianluca Fazio, Technology Intelligence e Digital Transformation Specialist presso De Nora – si può ricavare non solo energia, ma anche fosforo e azoto da utilizzare in agricoltura. L’acqua reflua diventa così il cuore della circolarità; in alcune condizioni potremmo ricavare addirittura il 50% della quota energetica necessaria a una intera città”.

 

Da cozze e molluschi le nuove spugne super assorbenti

In questo processo diventa centrale la capacità di ottenere materia solida organica dal ciclo di trattamento delle acque industriali. Per farlo si possono escogitare differenti soluzioni, una tra le più innovative è quella proposta da Captive System, che ha progettato un sistema di microspugne magnetiche che assorbono i materiali solidi di scarto attraverso un processo di compressione.

L’azienda ha in agenda un altro progetto di portata circolare e ad alto tasso di innovazione: la soluzione, ancora in fase sperimentale, prevede il riutilizzo degli scarti provenienti dai gusci di cozza per la creazione di materiali nuovi performanti e super assorbenti da utilizzare nella pulizia degli oceani dagli sversamenti degli idrocarburi in mare.

Da tutti questi differenti approcci al tema della sostenibilità del mare si può solo in parte formare un quadro esaustivo della complessità delle sfide globali dei prossimi anni, che saranno critiche e decisive per affrontare e mitigare gli effetti dei cambiamenti che l’uomo ha imposto al pianeta. Gli oceani sono di tutti noi. Per tutelarli ci viene richiesto, in un approccio multidisciplinare, di contribuire alla difesa dell’ambiente marino mettendo in pratica le soluzioni di cui abbiamo bisogno.

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