La strategia per l’ambiente marino

Gli oceani e i mari sono essenziali per la sopravvivenza del pianeta. Il cambiamento climatico e svariate attività umane influiscono su queste vaste distese d’acqua in diversi modi.

L’immenso patrimonio di biodiversità custodito da mari e oceani sta subendo danni e perdite causati, oltre che dall’inquinamento e dalle sostanze nocive emesse nell’atmosfera, anche dal sovrasfruttamento delle risorse biologiche e dalle alterazioni fisiche delle coste, che stanno mettendo a repentaglio la sopravvivenza di molte specie.

 

Strumenti di governance condivisi 

Il nostro rapporto con i mari deve evolvere per poterli salvaguardare. Serve un cambio di paradigma per garantire la sostenibilità delle nostre azioni nel lungo periodo: tutte le attività che svolgiamo e che coinvolgono direttamente e indirettamente mari e oceani devono essere orientate alla conservazione degli ecosistemi marini, prima che sia troppo tardi.

Questa missione richiede strumenti di governance condivisi tra i governi di tutti i paesi coinvolti, dato che gli impatti di ogni attività umana si spingono ben oltre le dodici miglia di acque territoriali di ogni singolo Stato.

Tra gli strumenti di governance per la protezione del mare, oltre alla Convenzione di Barcellona che riguarda i paesi che si affacciano sul Mediterraneo – anche nota come Convenzione per la protezione del Mar Mediterraneo dai rischi dell'inquinamento – e la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Unclos, da United Nations Convention on the Law of the Sea), la più importante per l’Italia è la Strategia per l’ambiente marino, indicata da una direttiva quadro del 2008 (Direttiva 2008/56/CE del Parlamento europeo) e applicata dal 2011-2012. La biologa marina e ricercatrice Ispra Erica Magaletti ha ricordato che «le leggi in vigore prima di questa importante direttiva di strategia marina non erano sufficienti a tutelare la salute dei nostri mari, erano parziali sotto vari aspetti e frammentarie come copertura spaziale: da qui l’esigenza di concepire una direttiva quadro che ambisce a verificare il grado di funzionamento degli ecosistemi».

 

Il buono stato ecologico dei mari

La direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino si basa sulla normativa europea preesistente e riguarda elementi specifici dell’ambiente marino non considerati nelle direttive Habitat e Uccelli e nella direttiva quadro sulle acque.

Come ha sottolineato Carlo Zaghi, direttore generale per il mare e le coste del Ministero della transizione ecologica, «l’impatto della pesca, l’impatto delle attività estrattive, l’impatto positivo delle aree marine protette, l’impatto dell’acquacoltura, l’impatto dei trasporti marittimi, tutte queste attività disciplinate da norme europee e internazionali trovano un quadro di riferimento nella strategia per l’ambiente marino».

Per conseguire l’obiettivo di proteggere e conservare l’ambiente marino, con questa direttiva i paesi dell’Unione europea sono tenuti a sviluppare strategie e adottare misure per raggiungere un «buono stato ecologico» dei mari, dove «le specie e gli habitat marini sono protetti, viene evitata la perdita di biodiversità dovuta all’attività umana e le diverse componenti biologiche funzionano in modo equilibrato; [...] gli apporti antropogenici di sostanze ed energia, compreso il rumore, nell’ambiente marino non causano effetti inquinanti» (fonte: Direttiva 2008/56/CE). 

In Italia il ruolo di coordinamento tecnico-scientifico della strategia marina spetta a Ispra che, per lo svolgimento delle attività, si avvale della collaborazione con le Agenzie regionali (Arpa) e provinciali (Appa) – che dal 2017 costituiscono il Sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente (Snpa) – coadiuvate dai principali enti di ricerca e università. 

«Questa direttiva serve a evidenziare quali sono i problemi ambientali grazie alle attività di monitoraggio e all’acquisizione di una grande quantità di dati, a individuare le azioni da intraprendere per affrontare questi problemi ambientali e a verificare i tempi di risposta degli ecosistemi marini a queste situazioni», spiega Magaletti; «abbiamo per la prima volta la possibilità di acquisire un numero di informazioni che non ha precedenti nella storia dello studio e del monitoraggio dei nostri mari». 

La direttiva «prende in considerazione numerosi aspetti chiamati descrittori: sono undici elementi qualitativi, per ognuno dei quali dobbiamo individuare criteri, parametri da indagare, frequenze e modalità di monitoraggio che devono essere gli stessi a livello nazionale ed europeo per essere confrontabili, quindi abbiamo anche un grosso lavoro di coordinamento con gli altri paesi. Alcuni di questi descrittori rappresentano aspetti più tradizionali come la presenza di contaminanti nei sedimenti e negli organismi o nutrienti, o alcuni aspetti legati alla biodiversità (ad esempio Poseidonia oceanica, quella pianta superiore che è un habitat così importante per il mar Mediterraneo). Altri rappresentano degli elementi di novità assoluta o perché sono argomenti emergenti – come i rifiuti marini e le specie non indigene – o  perché non venivano considerati prima, come le reti trofiche e il rumore sottomarino, aspetti nuovi introdotti dalla strategia marina».

 

 

I cicli di monitoraggio

La strategia marina ha un ciclo di attuazione di sei anni, al termine del quale viene effettuata una Gap Analysis per valutare l’adeguatezza delle misure esistenti; se le misure sono ritenute insufficienti – quindi si registrano dei gap – per raggiungere i traguardi ambientali prefissati, la strategia viene aggiornata.

I risultati del precedente ciclo di monitoraggio hanno evidenziato gap relativi a biodiversità, specie non indigene, integrità del fondo marino e marine litter, aspetti su cui intervenire con azioni correttive e misure concordate con il Ministero della transizione ecologica. 

Il direttore dell’Ispra Alessandro Bratti ha allertato che, «per quanto riguarda gli stock ittici e la pesca, la qualità dal punto di vista ambientale è preoccupante sorpattutto nel mar Adriatico: rispetto ai criteri, più del 50% degli stock sono al di fuori dei limiti biologicamente sicuri. Se prendiamo in considerazione i principali contaminanti, abbiamo concentrazioni di mercurio molto elevate, che nei pesci possono raggiungere anche l’85% di superamento dei limiti consentiti».

 

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